La maggior parte delle linee guida disponibili sulle infezioni intra-addominali (IAI: Intra-Abdominal Infections) sono state elaborate in accordo a criteri universalmente accettati e cioè classificando le evidenze in base alla loro “forza”: trials randomizzati e controllati, meta-analisi, revisioni sistematiche (forza elevata); studi prospettici, retrospettivi e trasversali (forza moderata); opinioni di esperti (forza bassa). In particolar modo, le raccomandazioni statunitensi di Solomkin e quelle belghe di Laterre sono state costruite in accordo ai criteri dell’Infectious Diseases Society of America evidence-grading system che contempla diverse categorie, selezionate in base alla “forza” dei dati, e gradi, che dividono le precedenti in base al tipo di studio che fornisce l’evidenza… Continua qui
da Le Infezioni in Medicina, Supplemento 1, Febbraio 2008
timeoutintensiva.it, N° 15, Technè, 4 Gennaio 2011
L’autunno si era ormai annunciato da qualche settimana con i suoi colori particolari: foglie gialle sugli alberi, il primo freddo e giorni di pioggia accompagnati ormai quotidianamente da temporali quasi equatoriali. Pioveva a dirotto quel giorno. Papà Nasser mi aveva chiesto una visita domiciliare per sua figlia Hergere che vomitava da un giorno ed aveva febbre alta. - A che ora viene dottoressa?- - Quando ho tempo, comunque prima di sera – gli risposi frettolosamente e forse non molto educatamente. Alle 12,30 comunque ero a casa sua. Un odore intenso, di spezie africane inondava la casa, il vapore del cibo che bolliva nella pentola aveva appannato tutti i vetri. Mi tolsi il cappotto. Il tepore della cucina mi accolse insieme al sorriso aperto e riconoscente di Nasser. La bambina era sdraiata sul divano: il viso pallido, un po’ sofferente… Continua qui
Timeoutintensiva.it, N° 14, Racconti a Margine, 26 luglio 2010
La malattia che portò Freud alla morte cominciò a manifestarsi improvvisamente nel 1923, all’età di 67 anni, con brevi ma ricorrenti gengivorragie, alle quali egli non diede particolare importanza, fino a quando non notò in corrispondenza della sede dell’emorragia una tumefazione che dopo un po’ cominciò ad estendersi verso il palato. Decise allora di consultare il prof. Hajek, direttore della Clinica Rinolaringoiatrica dell’Università di Vienna, il quale gli diagnosticò una lesione leucoplasica dovuta al fumo (egli era un forte fumatore di sigari), consigliandone l’asportazione chirurgica che fu effettuata qualche giorno dopo. L’esame istologico rivelò la natura maligna della lesione, risultata in un carcinoma. Quattro mesi dopo, la regione precedentemente trattata chirurgicamente fu interessata da un’ulcera del palato duro che si estendeva ai tessuti molli della guancia, alla mucosa mandibolare adiacente fino a lambire il margine linguale. Alla luce di questo nuovo quadro, si predispose un intervento radicale che fu affidato al prof. Pichhler di Vienna, uno dei più insigni specialisti europei di chirurgia orale. Una recidiva a due mesi, richiese anche l’asportazione di parte del palato molle. Dopo questo importante intervento, cominciarono 16 anni di disagi e sofferenze, costellati dal ripetersi della malattia e di innumerevoli altre operazioni effettuate chirurgicamente. In questo lungo calvario durante il quale fu sottoposto complessivamente a ben trentatré interventi di chirurgia orale, egli ebbe comunque sempre la forza di seguire il suo lavoro scientifico e di diffondere il suo pensiero, anche dall’esilio inglese cui fu costretto dopo l’invasione dell’Austria da parte delle truppe germaniche nel 1938. Nel corso degli ultimi anni, le sue condizioni generali di salute peggiorarono. Nonostante tutto, seppur a ritmo ridotto, egli continuava a visitare i pazienti avvalendosi della collaborazione della figlia Anna, data la sua ormai grave dislalia, ai limiti della incomunicabilità verbale e una ipoacusia destra. L’ipoacusia lo costrinse tra l’altro a cambiare la posizione dell’arcinoto lettino per poter prestare l’orecchio sano ai suoi pazienti. Gli era venuto a mancare progressivamente un fluido linguaggio ed un attento ascolto. Un anno prima della morte, nel 1938, al suo arrivo a Londra aveva concesso un’intervista alla BBC. L’intervista si era conclusa con uno sguardo alla strada ancora da percorrere per la scienza neonata: “La lotta non è ancora terminata”, affermava. Il suo attaccamento estenuante nei confronti della madre Amalie Nathanson, gli aveva fatto dire, dopo la morte di lei nel 1930, che solo ora e certamente non prima anche lui avrebbe potuto morire. Il 21 settembre 1939, Freud consumato fra atroci sofferenze sul letto di morte mormorò al proprio medico di fiducia: “Ora non è più che tortura, non ha senso” e poco dopo ancora: “Ne parli con Anna, e se lei pensa che sia giusto, facciamola finita“. Freud si affidò al sentimento della figlia. Morì due giorni dopo, all’età di 83 anni il 23 settembre 1939, senza risvegliarsi dal sonno tranquillo che la morfina gli aveva provocato.
Vorremmo concludere la nostra biografia con questo eccezionale pensiero di Thomas Mann: “anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all’umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono né negare, né occultare (…) e se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud.”
**GRUPPO DI LAVORO CEFPAS: Marisa Agosta, Flavia Alessi, Rosa Bianca Maria et Alii
Docente del modulo: Giuseppe Noto.
Direttori del Master: Calogero Muscarnera, Franco Prandi.
“…non sempre dalla malattia si ritorna indietro verso un mondo, la propria vita, in cui non c’era la malattia. Dalla malattia si può non guarire e l’uomo che vi è dentro può diventare “cronico” e può essere ricacciato dentro quel percorso appena attraversato come quando nel gioco dell’oca si ritorna alla casella di partenza o a qualche casella indietro. E’ interessante vedere come tra gli esiti di quei percorsi assistenziali, dove si mescola nella Medicina il suo essere sanitario e sociale secondo i momenti, non sia contemplato un esito che per me Intensivista sarebbe scontato: “la morte”. Morte che oramai è sempre meno un momento sociale e sempre più sanitario, sempre più disumano e disumanizzante”… Continua qui
Sono almeno cinque le possibili ipotesi sulle condizioni di salute del numero uno della Apple, Steve Jobs, affetto da un tumore al pancreas nel 2004 e dopo aver subito un trapianto di fegato nel 2009.
“A oltre un anno e mezzo dall’intervento “potrebbero essersi verificate complicanze del trapianto”, ha detto Ignazio Marino, esperto di chirurgia dei trapianti del Jefferson Medical College di Philadelphia. Una delle complicanze più comuni, ha detto, “potrebbe essere il restringimento delle vie biliari”.
Una seconda ipotesi è legata alla terapia antirigetto, praticata di routine dopo ogni trapianto per abbassare le difese immunitarie e ridurre il rischio di rigetto.
“Condizionando il sistema immunitario, la terapia potrebbe avere determinato effetti negativi sulla ricorrenza del tumore al pancreas”, ha osservato Marino.
Sempre la terapia antirigetto potrebbe avere determinato un problema di rigetto cronico, diverso da quello acuto che si verifica a breve distanza dal trapianto.
La quarta ipotesi, meno probabile che possano essere avvenute complicanze dovute alla terapia immunosoppressiva. Una di queste, ha osservato Marino, potrebbe essere la malattia linfo-proliferativa, “che potrebbe essere legata ad un’alterata tolleranza della terapia immunosprressiva”.
La quinta e ultima ipotesi è che la terapia immunosppressiva possa avere causato complicanze come insufficienza renale o ipertensione.