Archivio della categoria: Terapia Intensiva

Racconti a Margine: “La Quarta Dimensione Esiste” di Penthotal

Racconti a Margine

“La Quarta Dimensione Esiste”

Racconto di Penthotal*

“… La quarta dimensione esiste, aleggia come una materia nera e densa attorno ai nostri corpi, sono le parole, il vuoto tra le parole, il tempo di plateau tra inspirazione ed espirazione, sono gli occhi che scrutano le curve di pressione-volume. Nella complessità ordinata che siamo.
 La quarta dimensione esiste , e lo capisci quando, come un oracolo, riesci a cogliere dal tono del saluto degli infermieri che stanno per andare via e da altre piccole sfumature, gli auspici di quello che nella notte ti aspetta.

Ma non bisogna essere la Sibilla Cumana per comprendere che la notte non sarà serena. Un capannello di persone dall’aria sgomenta e rispettosa attaccato alla porta della Terapia Intensiva ti scruta, scettico, per capire se sarai in grado di far qualcosa per qualcuno che ancora ignori…”

*L’anonimato dell’autore è regola non negoziabile al permesso di pubblicazione, da noi richiesto.

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Timeoutintensiva.it, N°20, Racconti a Margine, 28 Marzo 2012

Una Riflessione Sul “Senso Comune”

Le Idee

Una Riflessione Sul “Senso Comune”

di Diego Bongiorno

Psichiatra, Psicoanalista

Il senso comune ha a che fare con la nostra sensorialità e con la possibilità di concordare sulla nostra esperienza sensoriale. Il senso comune e la sua costruzione presuppongono quindi alcune caratteristiche individuali e la presenza di una comunità di individui. Le carat-teristiche individuali sono la possibilità di esperire sensorialmente e di sentire. Ho utilizzato questo ultimo termine per riferirmi al campo emozionale dove, per esempio, non è possibile vedere la gioia ma  provarla così come la paura, la tristezza e così via.

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Timeoutintensiva,it N° 7

“Lo Sguardo Delle Vittime”

Le Idee

Lo Sguardo Delle Vittime

di Ivo Lizzola

Professore Pedagogia Sociale, Università degli Studi di Bergamo

Lo sguardo della vittima svela l’impossibile assunzione del male. Il male è già, e ancora; è inguardabile: la vittima lo ha riconosciuto. Come enigma e come possibile. Non va cercata una “spiegazione”, né una “risposta” davanti all’enigma (come invece prova a fare Edipo): “vi si risponde di persona” restando là dove l’essere prima che oggetto di speculazione è patimento “nelle viscere” (las entrañas delle pagine di María Zambrano sulla pietà).

È una iniziazione in cui si ritrova e riprova di nuovo l’incompiutezza, l’umiltà, l’impotenza di donne e di uomini, certo capaci (anche in modo raffinato e attento) ma sempre ancora vulnerabili. I saperi, le tecniche, le terapie, le politiche, le didattiche, le cure si trovano a doversi declinare (e a declinare) come mezzi, come cammini di prossimità, come forme dell’approssimarsi perché, forse, si possa dare qualche nuovo inizio, qualche altra abitabilità del tempo, (delle relazioni, delle speranze)…

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Timweoutintensiva.it

“Oltre La Terapia Intensiva Aperta” di S. Livigni

Le Idee

“Oltre La Terapia Intensiva Aperta”

di Sergio Livigni

Direttore Terapia intensiva dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino

Cercherò di spiegare perché ritengo che l’apertura di una Terapia Intensiva non significhi soltanto “la razionale riduzione o abolizione di tutte le limitazioni non motivatamente necessarie poste a livello temporale , fisico, relazionale” (Giannini A. Open Intensive care units:the case in favour. Minerva Anestesiol 2007 73: 299- 305), o meglio, perché ritengo che questa riduzione o abolizione sia necessaria, ma non sufficiente.

Il mio ragionamento parte dal principio morale utilitarista per cui ogni azione deve avere il fine di ottenere il massimo di utilità per tutti o per il maggior numero di individui interessati e dal rifiuto del paternalismo medico, cioè dell’atteggiamento secondo cui il medico conosce il bene del proprio paziente e può scegliere al suo posto proprio come un padre di famiglia conosce il bene dei suoi figli e sceglie per loro.

Nella pratica clinica non distinguo il sentire del medico/operatore sanitario da quello del paziente o del familiare, ma considero il medico/operatore sanitario anche paziente e familiare.

Spero di non essere troppo contorto nel ragionamento: ciò che può modificare il mio modo di agire (l’agire medico in questo caso) è la conoscenza delle conseguenze generate dall’azione che mi accingo a compiere o ad evitare, valutando le diverse posizioni dei soggetti interessati; nel caso della Terapia Intensiva cerco di eliminare tutte le limitazioni individuate da Giannini perché so che l’apertura della Terapia Intensiva segue un principio morale corretto.

Quali sono gli individui interessati? I pazienti, i familiari, gli operatori sanitari. Qualcuno ha un diritto maggiore, c’è un conflitto di diritti o di doveri? Il rispetto del diritto non risponde al principio morale utilitarista?

Assolutamente no! Continuare a mantenere chiuse le Terapie Intensive significa negare un diritto: il diritto alla giusta comunicazione, alla giusta relazione, il diritto alla presenza degli affetti più cari, il diritto di scelta, diritti di ognuno di noi.

Non si può continuare ad ignorare le maggiori raccomandazioni della letteratura scientifica per la buona pratica clinica: a tutti sono noti i concetti di decisioni condivise, attenzione comunicativa, consenso informato, l’importanza del supporto spirituale, dell’educazione del personale, quanto la presenza dei familiari durante manovre di rianimazione, l’assistenza, prima, durante e dopo un decesso. Dobbiamo accettare tutto questo e riconoscerne la giusta dignità per la cura del paziente.

Stabilita la necessità di quanto sopra siamo comunque in difetto perché ci limitiamo soltanto ad un aspetto del diritto.

Il diritto del paziente è molto più ampio: il medico non può compiere qualsiasi atto senza un consenso né evitare di dare informazioni; il medico deve riconoscere la sovranità del paziente sul proprio corpo e sulla propria vita.

Come sostiene Maurizio Mori “…E’ l’interessato che deve scegliere ciò che intende sia fatto sulla propria persona. In questo senso, il consenso informato determina due conseguenze importanti:

a. Il passaggio di titolarità decisionale, che prima spettava al medico mentre ora passa all’interessato;

b. Il riconoscimento che l’interessato ha sovranità sul proprio corpo e sulla vita ad esso connessa, punto che giustifica il passaggio di titolarità decisionale….”

A questo punto il modello terapeutico si modifica completamente; se comprendiamo ed accettiamo questo cambiamento possiamo dire di avere abbattuto tutte le barriere e scoperto o meglio riscoperto il significato della cura.

Ecco perché ritengo che si debba andare oltre… La cura non può terminare al momento della dimissione, ma deve continuare nel tempo, oltre le diagnosi e le terapie, in una continua ricerca della Persona più che della patologia.

Fonti:

Ospedaleaperto.com

Racconti a Margine: “Suicide” di S. Vasta

Racconti a Margine

Suicide

di Salvatore Vasta

“Si era fermata là sul viadotto nel buio. Nel punto più alto. Col freno a mano tirato era scesa, abbandonando le luci lampeggianti, e con gesti decisi, meticolosa si era tolta le scarpe, il paltò, si era raccolti i capelli con due giri di elastico e sistemata la gonna.
Scavalcare e buttarsi giù fu un tutt’uno, un tuffo più che un capitombolo. Per panorama a testa sotto il pilone le luci il buio vuoto. Giù per 110 metri, nel nero più profondo per 5, 6… forse 10 secondi di caduta libera. Circa 40 piani di palazzo.
Giù, sino alle braccia forti e stagionate di un vecchio padre, come quando dall’altalena saltavo tra le braccia del mio di padre…”…

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