Archivio della categoria: Poesia

Fotografia e Poesia

Io non sono solo quello che vedi

Gipsies, J.Koudelka

Io non sono solo quello che vedi, quello che conosci
non sono solo quello che dovresti imparare.
Devo a qualcuno ogni brandello della mia carne,
se ti tocco con la punta del dito
ti toccano milioni di persone,
se ti parla una mia parola
ti parlano milioni di persone –
riconoscerai gli altri corpi che danno forma al mio?
ritroverai le mie orme tra miriadi di altre impronte?
distinguerai i miei gesti nella marea della folla?
Io sono anche quello che fui e che più non sono –
le mie cellule morte, le mie azioni
morte, i pensieri morti
di notte ritornano a dissetarsi nel mio sangue.
Io sono quello che non sono ancora –
dentro di me martella l’impalcatura del futuro.
Sono quello che devo diventare –
intorno a me gli amici esigono, i nemici vietano.
Non cercarmi altrove
cercami soltanto qui
soltanto in me.

Titos PatriKios
Da Fine dell’estate
1953-1954 VI

Fotografia e Poesia: “L’assenza dondola nell’aria” di Nazim Hikmet

L’assenza dondola nell’aria

Nazim Hikmet

Photos di Evgen Bavcar

“L’assenza dondola nell’aria come un batacchio di ferro
martella il mio viso martella
ne sono stordito

corro via l’assenza m’insegue
non posso sfuggirle
le gambe si piegano cado

l’assenza non è tempo né strada
l’assenza è un ponte fra noi
più sottile di un capello più affilato di una spada

più sottile di un capello più affilato di una spada
l’assenza è un ponte fra noi
anche quando
di fronte l’uno all’altra le nostre ginocchia si toccano”.

(Nazim Hikmet, Mosca, 1961)

Nazim Hikmet è stato un poeta turco, naturalizzato polacco alla fine degli anni ‘50, quando la Turchia gli tolse la cittadinanza per motivi politici. E’ considerato uno dei più grandi poeti del ventesimo secolo, rivoluzionario nell’introdurre versi liberi ed uno schema colloquiale nel compassato schema letterario ottomano.

PS: Nota personale> Dedicato alla perdita, oggi subita, da un amico ormai assente

Savas

Fotografia e Poesia

unknown photographer

Elogio dei Piedi

di Erri De Luca

Perché reggono l’intero peso.

Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.

Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.

Perché portano via.

Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.

Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.

Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.

Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.

Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.

Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.

Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.

Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.

Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.

Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.

Perché non sanno accusare e non impugnano armi.

Perché sono stati crocefissi.

Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.

Perché, come le capre, amano il sale.

Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.

Tratto dallo spettacolo: Chisciotte e gli Invincibili di Erri De Luca

Fotografia e Poesia

Foto di James Nachtway fotografo di guerra e di pena Afghanistan, 1996 - Mourning a brother killed by a Taliban rocket.

Solo la morte.

“La morte arriva a risuonare

come una scarpa senza piede, un vestito senza uomo,

riesce a bussare come un anello senza pietra né dito,

riesce a gridare senza bocca, né lingua, né gola.

Certo i suoi passi suonano,

e il vestito ha un lieve stormire d’albero.

Io non so, io conosco poco, io vedo appena;

ma io credo il suo canto colore delle viole umide,

di viole abituate alla terra,

perché il viso della morte è verde,

e lo sguardo della morte è verde,

con l’acuta umidità d’una foglia di viola,

e il cupo colore d’invemo esasperato.

Però la morte va per il mondo anche come scopa,

lecca la terra cercando i morti,

la morte è nella scopa,

è la lingua della morte che va scovando i morti,

è l’ago della morte che va in cerca di filo.

Pablo Neruda

(frammento tratto da Da Resindencia el la tierra, II (1931/1935) di Pablo Neruda)

La Foto è del fotografo J. Natchway ed è consultabile al suo sito cliccando qui