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Fumiamo Radioattività: Tabacco al Polonio-210 da Sempre ! Pesanti Responsabilità di Big Tobacco. Video

Ambiente e Salute

Fumiamo Radioattività: Il Tabacco contiene Polonio-210 da Sempre ! Pesanti Responsabilità di Big Tobacco Che Hanno Coperto La Verità. Video

Se non fosse veramente tragico, potremmo intravedere una nera e macabra ironia nel fatto che, mentre in redazione qui a Timeoutintensiva cercavamo di rendere comprensibili i danni biologici da radiazioni per i fatti di Fukushima o per spingere all’abrogazione del referendum sul nucleare, alcuni di noi, per fortuna modicissimi fumatori, si accendevano una bella sigaretta ricca di Polonio-210 assorbendo per via respiratoria bassi livelli di radiazioni che come leggerete, ripetuti nel tempo, sono una delle cause del cancro al polmone. Sì, perchè e venuto alla luce, finalmente in maniera incontrovertibile, che il tabacco è radioattivo, cosa che l’industria internazionale del tabacco sapeva sin dal 1959. Potevano fare un “wash out” del Polonio 210 eliminandolo dal tabacco ? La risposta è , ma questo avrebbe diminuito i guadagni. Così Big tabacco si è messa di traverso per ridurre i costi, e mantenere alta la capacità delle sigarette di indurre dipendenza. Ci avvelenano con le radiazioni, ci rendono ancora più dipendenti dal fumo mantenendoci all’interno di una spirale di morte non arrestabile, e lo fanno come sempre semplicemente per denaro. Come mi diceva mio padre buonanima: Segui i soldi e capirai il mondo. Savas

Premessa

Già nel 1982, era stato pubblicato un articolo intitolato “La radioattività nel fumo di sigaretta” sul New England Journal of Medicine. T H Winters e J R Di Franza della University of Massachusetts Medical Centre avevano scritto che la sigaretta contiene sostanze radioattive sotto forma di polonio-210 (Po-210) e piombo-210 (Pb-210). Tale articolo era stato molto attaccato dalle industrie del tabacco.

T.C. Tso, un ex ricercatore del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, aveva scoperto inoltre che la radioattività nel tabacco proveniva dai fertilizzanti fosfatici utilizzati, che contengono uranio e il suo prodotto di decadimento, radio-226. Il Radio-226 decade in una serie di prodotti tra cui il Po-210 e il Pb-210 sono i più importanti.

I Contadini Indiani al contrario non usano concimi fosfatici. Nel 1976, gli scienziati del Bhabha Atomic Research Centre avevano dimostrato che il Po-210 nel tabacco indiano aveva livelli da 10 a 15 volte inferiori a quelli del tabacco degli Stati Uniti.

Ma tutto questo come già detto, era stato coperto e contraddetto da un polverone di notizie contrarie provenienti da Big Tabacco.

I Fatti Oggi

Nel settembre scorso, è uscito uno studio condotto da ricercatori dell’University of California di Los Angeles (UCLA), pubblicato nel numero di settembre di Nicotine & Tobacco Research, che ha reso tutto ciò incontrovertibile.
Attraverso l’analisi di decine di documenti segreti delle aziende produttrici di sigarette, resi pubblici in Usa nel 1998, i ricercatori hanno constatato come le aziende abbiano messo per anni in atto una precisa politica per mascherare o nascondere la correlazione tra sigarette e polonio-210. Le aziende produttrici di sigarette sapevano fin dal 1959 della presenza di sostanze radioattive nel fumo di tabacco e dei danni che potevano arrecare. E non soltanto non hanno fatto nulla per impedirlo, ma si sono anche messe di traverso affinché il dato trapelasse il meno possibile nella comunità scientifica. 
Il polonio-210 può essere assorbito dalle foglie della pianta di tabacco sia attraverso l’esposizione al radon normalmente presente in atmosfera, sia attraverso i fertilizzanti. Una volta intrappolato nelle foglie è destinato a finire nei polmoni dei fumatori.

L’analisi dei documenti ha consentito ai ricercatori di affermare che “l’industria era ben consapevole della presenza di sostanze radioattive nel tabacco già prima del 1959”. Ed era anche preoccupata. Al punto da condurre per decenni studi che valutassero l’effetto dell’isotopo  radioattivo sui fumatori, compresi “calcoli radiobiologici per stimare l’assorbimento a lungo termine nei polmoni, delle particelle alfa emesse dal fumo di sigaretta”.
Non basta: “Abbiamo dimostrato che l’industria ha usato comunicazioni ingannevoli per confondere le acque sul rischio di particelle ionizzanti che raggiungono i polmoni dei fumatori e – cosa più importante – ha cercato di impedire tutte le pubblicazioni sulla radioattività del fumo”, ha affermato il primo autore dello studio, Hrayr S. Karagueuzian, professore di Cardiologia alla University of California Los Angeles (UCLA) (vedi il Filmato).
Nel frattempo, però, è diventato sempre più chiaro come il Polonio-210 potesse dare il via allo sviluppo di tumori polmonari.
Le particelle radioattive, hanno spiegato gli autori, si accumulano nelle biforcazioni bronchiali, formando dei «punti caldi» da cui poi di disperdono nei polmoni. Diverse ricerche hanno evidenziato come i tumori polmonari si espandano proprio dalle biforcazioni bronchiali dove si trovano questi «punti caldi».

Due volte colpevoli

Ad aggravare la posizione di Big Tobacco, per i ricercatori, c’è un altro elemento. Benché consapevoli dei rischi dell’esposizione al polonio-210, non hanno messo in atto nessuna contromisura. E ciò, nonostante le aziende disponessero fin dal 1959 delle tecniche per eliminare dalle foglie di tabacco i residui di materiale radioattivo. Tecniche ulteriormente perfezionate nel 1980 con la messa a punto del lavaggio acido.
Perché non usarle, allora? L’industria ha spesso addotto tra le ragioni l’aumento dei costi o l’impatto ambientale dell’impiego di queste tecniche, ma la spiegazione data dai ricercatori è un’altra. “L’industria era preoccupata che il lavaggio acido ionizzasse la nicotina, rendendo più difficile il suo assorbimento a livello cerebrale e privando i fumatori del piacere connesso alla nicotina essenziale per alimentare la dipendenza”, ha spiegato Karagueuzian.

Ricerca Italiana

Se ciò non bastasse, una recentissima ricerca Italiana, -condotta da Zagà con UNIBO, U-Series Lab ed ENEA per l’ISS-OSSFAD-, fra le 10 marche di sigarette più vendute in Italia, ha dimostrato che: a) non ci sono sostanziali differenze quanto a Pb-210 e Po-210 fra le 10 marche esaminate: in media 14,6±2,7 mBq/sigaretta di Piombo-210 e 15,8±2,2 mBq/sigaretta per Polonio 210; b) partendo da questo dato, il rischio biologico, calcolato in base alla dose assorbita, misurata in mSv, e confrontata con una radiografia del torace in antero-posteriore, sarebbe valutata in un rischio paragonabile a 40 radiografie torace. Il Po-210 si può trovare anche nel fumo passivo, poiché parte del Po-210 si diffonde nell’ambiente circostante durante la combustione del tabacco.

Nel Filmato: Il Dr. Karagueuzian primo autore dello studio e professore associato di cardiologia, che svolge attività di ricerca presso il Cardiovascular Research Laboratory UCLA, parte della David Geffen School of Medicine dell’UCLA, discute le sue ricerche.

Fonti:

“Cigarette Smoke Radioactivity and Lung Cancer Risk”

Hrayr S. Karagueuzian, Celia White, James Sayre and Amos Norman

Nicotine Tob Res (2011) doi: 10.1093/ntr/ntr145 September 27, 2011


- “Polonium & Lung Cancer.”

Zagà V, Lygidakis C, Chaouachi K, Gattavecchia E.

Journal of Oncology 2011; Article ID 860103, 11 pages, doi:10.1155/2011/860103


-”Radioactivity in cigarette smoking.”

Winters TH, Di Franza JR.

N Engl J Med. 1982 Feb 11;306(6):364-5.


-Radioactivity in cigarettes

K.S. Parthasarathy


La Medicina Basata sulle Prove e la Medicina “Bugiarda”.

Focus

La Medicina Basata sulle Prove e la Medicina “Bugiarda”.

04/10/2011

di S. Vasta, M. Vasta

“Il dr. John P. A. Ioannidis,  epidemiologo e “metaricercatore”, è direttore del Dipar-timento di Igiene ed Epidemiologia della University of Ioannina School of Medicine, Grecia.
Ioannidis è oggi uno dei maggiori esperti mondiali per quanto riguarda la credibilità della ricerca medica.
La domanda, che ha avuto un’importanza centrale nel lavoro di Ioannidis, ed a cui ha tentato di rispondere nei suoi diversi e serissimi articoli scientifici è sempre stata: Esiste una ricerca medica di cui possiamo fidarci, dato che essa determina le scelte terapeutiche dei medici ? Così Ioannidis, con le sue ricerche e pubblicazioni, ha cercato di dimostrare, che i risultati delle ricerche mediche sono spesso esagerati, fuorvianti o addirittura falsi. Sollevando un appassionato ed interessante dibattito tra i ricercatori di tutto il mondo
ll suo primo lavoro su queste tematiche è apparso su Plos Medicine dal titolo chiarissimo: “Why Most Published Research Findings Are False”, in cui senza mezzi termini egli spiega con puntiglio e dimostra con dovizia di formule matematiche, il perché della sua drastica asserzione”… Continua



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Timeoutintensiva.it, N°18, Focus, Ottobre 2011


News: Lotta All’Aids: Un Videogame Riesce, Là Dove i Ricercatori Avevano Fallito

Ricerca

News: Lotta All’Aids: Un Videogame Riesce, Là Dove I Ricercatori Avevano Fallito

Accaniti giocatori sono riusciti dove ricercatori e computer avevano fallito per 15 anni: individuare la struttura di una proteina fondamentale per la trasmissione dell’Aids

Tutto è iniziato nel 2005, quando è stato lanciato il progetto non profit Rosetta@home allo scopo di determinare la forma tridimensionale delle proteine, all’interno di ricerche, che avrebbero portato alla scoperta di cure, per alcune delle più importanti malattie umane. I ricercatori statunitensi, infatti, avevano chiesto agli internauti di scaricare sul loro computer un software che, nei momenti di inattività del pc, lavorasse per determinare la forma tridimensionale di proteine ancora sconosciute, così da aiutarli nel progettare nuove proteine per combattere malattie come l’HIV, la Malaria, il Cancro e l’Alzheimer. Il successo dell’applicazione fu così grande (migliaia di volontari hanno aderito al progetto) da spingere i ricercatori a fare di più, e a coinvolgere attivamente le persone nella soluzione dei puzzle strutturali delle molecole proteiche. Considerando che le proteine sono formate da centinaia di aminoacidi, infatti, spesso i calcoli richiedono molto tempo ed è possibile che l’intuizione umana possa farne risparmiare un po’. Ecco perché, nel 2008, gli scienziati hanno creato una interfaccia al programma Rosetta@home, per permettere una maggiore partecipazione e creatività.

Così è nato Foldit, un vero è proprio videogame, in cui i giocatori, che possono riunirsi in squadre, competono nel progettare proteine o individuare la loro struttura tridimensionale. In che modo? L’applicazione mostra una prima rappresentazione grafica della struttura 3D della molecola  proteica (ottenuta partendo dalla forma di proteine simili già note o da calcoli energetici), che l’utente può manipolare alla ricerca della configurazione a minor energia, che è quella biologicamente più probabile. Le loro proposte vengono quindi inviate ai biochimici per aiutarli a perfezionare i loro modelli teorici. Il videogioco era stato creato dall’ Università di Washington, negli Usa, che hanno fatto di più che rendere la scienza accessibile al grande pubblico: hanno reso il grande pubblico protagonista della ricerca.

Il puzzle è rappresentato dalla immagine 3D di una classe di enzimi chiamati proteasi retrovirali, cioè proteine coinvolte nella replicazione e proliferazione dei virus che causano l’ Aids, di cui è necessario comprenderne prima di tutto la forma. Non essendoci riusciti con la cristallografia a raggi X (il metodo più usato per determinate la struttura delle proteine, molto lento e costoso) e con gli algoritmi di Rosetta, i ricercatori hanno tentato con Foldit. “ Volevamo vedere se l’intuizione umana potesse avere la meglio sui metodi automatici”, ha spiegato su Science Daily, Firas Khatib dell’Università di Washington. E l’idea si è dimostrata vincente.

E’ stato infatti proprio giocando in questo modo che, in sole tre settimane, è stato risolto un rompicapo con il quale i ricercatori erano alle prese da ben 15 anni.
In poche settimane, infatti, i giocatori hanno generato un modello tridimensionale energicamente plausibile dell’enzima M-PMV, coinvolto nella replicazione del virus. Raffinando il modello, poi, i ricercatori hanno finalmente determinato la struttura della proteina, che si è inoltre rivelata sensibile all’azione di farmaci antiretrovirali. Perché, alla fine, è questo l’obiettivo di Foldit: svelare la forma tridimensionale delle proteine per sviluppare farmaci capaci di bloccarne l’attività. Seth Cooper, uno dei creatori di Foldit, spiega nello studio perché i giocatori sono riusciti là dove i computer hanno fallito: “ Le persone hanno abilità di ragionamento spaziale che i computer non hanno. Questi videogiochi riescono a unire la forza del cervello umano alla potenza delle macchine, e i risultati di questo studio mostrano che i videogiochi, la scienza e la computazione possono raggiungere traguardi prima impensabili”.

Foldit è, come già detto, un videogame online molto particolare, e, a suo modo, appassionante. Lo scopo del gioco è trovare la forma delle proteine. Ma cosa si vince? Se si è particolarmente bravi, anche una firma su un’importante rivista scientifica. È questo il premio che si sono aggiudicati alcuni giocatori per aver scoperto niente meno che la struttura di un enzima indispensabile alla replicazione di un retrovirus che causa la sindrome da immunodeficienza acquisita nei macachi resus. Dal momento che il retrovirus appartiene alla stessa famiglia dell’ Hiv, scoprire come sono fatte le sue proteine aiuterà anche la ricerca contro l’ Aids. Lo studio che descrive questo importante enzima è ora pubblicato su Nature Structural & Molecular Biology.

IL progetto è stato supportato da UW Center for Game Science, l’ U.S. Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), L’ U.S. National Science Foundation, The Howard Hughes Medical Institute, e dalla Microsoft Corporation

Potremmo dire in altri termini che, se il Web 2 è condivisione in rete di contenuti, con questo videogames siamo già al web 3, che è creazione di contenuti condivisi e migliorati a più mani. Una ricerca scientifica fatta con il contributo determinante di molti internauti.

Savas

Fonti:

Rosetta@home

Foldit

Baker Lab Publications

Crystal structure of a monomeric retroviral protease solved by protein folding game players

Firas Khatib, Frank DiMaio, Seth Cooper, Maciej Kazmierczyk, Miroslaw Gilski, Szymon Krzywda, Helena Zabranska, Iva Pichova, James Thompson, Zoran Popović, Mariusz Jaskolski & David Baker

Nature Structural & Molecular Biology (2011) Published online 18 September 2011

Daily.wired.it: Hiv, i suoi segreti si svelano con un videogame

Networks of human minds are taking citizen science to a new level, reports Eric Hand.

Gamers Succeed Where Scientists Fail: Molecular Structure of Retrovirus Enzyme Solved, Doors Open to New AIDS Drug Design


News: Ricerca: Iniettare Virus Per Uccidere I Tumori

Ricerca

Iniettare Virus Per Uccidere I Tumori

Una ricerca, appena pubblicata su Nature, dimostra, per la prima volta, che un’infusione di virus cosiddetti “oncolitici” provoca la distruzione delle cellule tumorali, senza “infettare” i tessuti sani.

I ricercatori dell’Università di Ottawa, autori del lavoro pubblicato su Nature, hanno pensato di somministrare virus per via endovenosa, con l’obiettivo di raggiungere tumori diffusi in diversi organi. Lo studio ha coinvolto 23 pazienti, tutti con forme di cancro avanzato e diffuso, insensibili alle terapie standard. Ai pazienti è stata somministrata una singola infusione endovenosa di un virus -a 5 diversi dosaggi- chiamato JX-594, un poxvirus oncolitico, derivato da un ceppo di virus del vaccino antivaioloso, e progettato per la replicazione, l’espressione del transgene e per un’azione sulle cellule tumorali ospiti che porta alla loro lisi cellulare, e ad una immunità antitumorale. Tramite un trial clinico, i ricercatori hanno dimostrato che JX-594 infetta selettivamente le cellule tumorali, si replica ed esprime prodotti transgenici nel tessuto tumorale dopo infusione endovenosa, dose-dipendente, agendo da “oncolitico”.  Questa piattaforma tecnologica apre la possibilità di prodotti multifunzionali che possono aggredire le cellule tumorali e metastatiche.

L’obiettivo, in questo studio, era quello di verificare non solo la sicurezza della cura, ma parallelamente valutare anche gli effetti terapeutici. I ricercatori hanno osservato che i virus si replicavano nei tessuti tumorali, ma non in quelli sani, e nei pazienti, che hanno ricevuto le dosi più alte, hanno visto anche una riduzione o una stabilizzazione della massa tumorale. La terapia era ben tollerata e gli effetti collaterali limitati a sintomi simili a quelli dell’influenza, che duravano meno di un giorno.

«È la prima volta nella storia medica – ha commentato John Bell dell’Ottawa Hospital Research Institute – che i virus, somministrati per endovena, si replicano in maniera consistente e selettiva nei tessuti neoplastici.». Il virus JX-594  ha una naturale capacità di replicarsi nelle cellule tumorali e può essere manipolato geneticamente in modo da aumentare le sue proprietà anti-cancro. «I virus oncolitici sono unici – ha aggiunto Bell – perché possono aggredire il tumore in molti modi, hanno pochi effetti collaterali, a confronto con altri trattamenti, e possono essere “personalizzati” e adattati a diversi tipi di cancro».

Fonti:

Nature 477, 99–102 (01 September 2011) doi:10.1038/nature 10358

Intravenous Delivery Of A Multi-Mechanistic Cancer-Targeted Oncolytic Poxvirus In Humans

Caroline J. Breitbach, James Burke, Derek Jonker, Joe Stephenson, Andrew R. Haas, Laura Q. M. Chow, John C. Bell & David H. Kirn et Alii

News: Virus Ebola: Svolta nella Ricerca su Come Impedire Il Contagio


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Virus Ebola: Svolta nella Ricerca su Come Impedire Il Contagio

Svolta nella ricerca di una prevenzione efficace contro la temibile febbre emorragica che flagella l’Africa. I risultati di uno studio del BWH di Boston pubblicati su Nature.

Il Virus Ebola (EboV) è un virus altamente patogeno che provoca focolai di infezioni zoonotiche in Africa. I sintomi clinici sono dovuti della massiccia produzione di citochine pro-infiammatorie in risposta all’infezione e in molte epidemie, la mortalità è superiore al 75%. L’inizio imprevedibile, la facilità di trasmissione, la rapida progressione della malattia, la mortalità elevata e la mancanza di un efficace vaccino o una terapia valida, hanno creato un alto livello di preoccupazione dell’opinione pubblica per EboV. Il virus Ebola, comparso con i primi focolai in Sudan e Zaire nel 1976, da subito ha mostrato la sua potenza letale e ancora oggi è uno dei più temuti sul fronte del bioterrorismo. La sua pericolosità e alta letalità, unite al fatto che al momento non esistono terapie efficaci, impongono che il virus sia manovrato solo da super-esperti e in laboratori di massima sicurezza, i BL4, come quello dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico romano Spallanzani (in tutto ve ne sono 5 in Europa e 14 nel mondo). Nell’articolo i ricercatori riportano l’identificazione di un nuovo componente derivato dalla benzilpiperazina Adamantane diamide  che inibisce l’infezione EboV.

Per ottenere questo risultato gli scienziati del BWH hanno utilizzato un robot sviluppato dai loro colleghi impegnati al National Small Molecule Screening Laboratory della Harvard Medical School. Esaminando decine di migliaia di campioni hanno individuata la  nuova micro-molecola (come detto derivata da benzilpiperazina adamantyl diamide) che si è rivelata in grado di inibire l’ingresso di EboV (il virus Ebola) in oltre il 99 per cento delle cellule. Ulteriori studi effettuati allo United States Army Research Institute for Infectious Disease a Fort Detrick, nel Maryland, hanno verificato l’efficacia di questo inibitore di entrata del virus. In particolare, è stato usato l’inibitore come sonda per studiare il percorso di infezione dell’EboV ed è stato scoperto che l’obiettivo dell’inibitore è la proteina Niemann-Pick C1 (NPC1).
“Ciò rappresenta una svolta per le nostre ricerche” ha dichiarato James Cunningham, prima firma della ricerca e ricercatore alla Divisione di Ematologia del BWH (Brigham and Women’s Hospital di Boston).

Questa scoperta avvicina la ricerca al traguardo di poter combattere efficacemente questa temibile febbre emorragica che flagella l’Africa

Fonti:

-Terra On Line: Ebola, scoperta la chiave per impedire il contagio

-Small molecule inhibitors reveal Niemann–Pick C1 is essential for Ebola virus infection

Marceline Côté, John Misasi, Tao Ren, Anna Bruchez, Kyungae Lee, Claire Marie Filone,Lisa Hensley, Qi Li, Daniel Ory, Kartik Chandran & James Cunningham

Nature (2011) doi:10.1038/nature10380 Published online 24 August 2011