Su Neuroethics, nel Marzo 2009, è uscito un interessante articolo, “Novel Neurotechnologies in Film—A Reading of Steven Spielberg’s Minority Report”, di Krahn, Fenton, (Bioeticisti che si occupano di Nuove e Neuro Tecnologie), e Meynell, (Filosofo), attraverso il quale, – insieme alla ricca bibliografia sull’argomento-, si comprende come le nuove neurotecnologie, al di là dell’aiutare la nostra vita quotidiana e la nostra salute, ed affiancarci nel nostro “libero arbitrio”, al contrario possano essere mostrate (e usate poi nella realtà) come mezzo attraverso il quale aumentare il controllo sulla nostra libertà, per limitarla. Obiettivo quest’ultimo che non rientra affatto nella moderna ricerca sulle nuove neurotecnologie.
Di tutto ciò il Cinema, specie quello che guarda al futuro, ne ha percepito talmente il carattere potenziale “di controllo e di limitazione della nostra libertà”, che spesso mostra, delle nuove neurotecnologie, l’uso distorto che se ne può fare per il nostro “bene”…
“In ogni nuova tecnologia, -neurotecnologiche incluse-, vi è spesso un senso di promessa e contemporaneamente di pericolo, ed una tendenza ad immaginare gli estremi di entrambi. Neil Levy articola il nucleo di questo disagio, suggerendo che: “Gran parte degli interessi e l’ansia provocata dalle nuove tecnologie, e lo sviluppo delle neuroscienze, è centrato su due questioni: la misura con cui queste tecnologie potrebbero consentire ai loro utenti di leggere i pensieri delle persone, e… la misura con cui queste tecnologie potrebbero effettivamente essere utilizzate per controllare le persone stesse.”
Trapianti D’organo: “Trapiantiamo Felicità”, Spot Della Discordia Solo Per Una Italia Provinciale. Il Video.
Ero a casa quando hanno dato la notizia alla TV. All’ inizio non capii cosa fosse successo in un centro trapianti della Sardegna; ricordo solo le dure parole alle quali gli speaker davano ospitalità e con le quali esprimevano lo sdegno di molti per quanto vi fosse accaduto. Così, facendo zapping tra i vari notiziari digitali e non, dopo un pò compresi che parlavano di un video girato all’interno del centro trapianti suddetto, ma siccome non lo mostravano e le reazioni a questo video venivano descritte in maniera sempre più nera, chiedendomi cosa mai di così terribile avessero combinato colleghi e nurse, cominciai a cercare in rete la notizia che dopo un pò trovai, insieme al video incriminato. In pratica al Brotzu, ospedale Sardo tra i più rinomati d’ Italia, dove si eseguono trapianti d’organo, era accaduto che, “solo per farsi pubblità”, -che già detto così sembra qualcosa da pagare con l’ergastolo-, medici, infermieri, inservienti e pazienti trapiantati avevano partecipato ad un video nel quale tutti, allegri e sorridenti, in un centinaio, si lanciavano in “danze scatenate e francamente fuori luogo nell’esprimere la loro gioia per i trapianti”, (che direi, salvano anche delle vite, cosa non da poco, ma che passava in secondo piano.). Apriti cielo.
A parte la comprensibile reazione contraria e l’impressione negativa di molti parenti delle vittime che hanno dato il loro assenso alla donazione ed all’espianto d’ organi dei loro cari, e il cui desiderio di silenzio su quei tragici avvenimenti va a braccetto con i ricordi drammatici di quei giorni, reazione ripeto che rispetto e comprendo, c’è da aggiungere che ancora prima di guardare la clip, le parole con le quali veniva lapidato il video stesso, andavano da “vergognosa esibizione mediatica”, a “offensiva pantomima”, sino a “macabra visione di una gioia fuori luogo”, e così via.
Poi ho visto il video. (Che vi mostro per farvi un’idea)
All’inizio non capivo. Si vedevano colleghi e nurse lavorare sorridenti in una sala operatoria tecnologicamente avanzata, e in un ambiente lindo ed accogliente, dando un senso di grande professionalità… Poi, iniziava una musica di sottofondo, bella ed invitante, un ballabile, e, nei corridoi, ambulatori ed in ogni parte della struttura, tra i sorrisi, tanti cominciavano a ballare al ritmo della colonna sonora; ed a danzare non erano soltanto gli operatori del centro, ma anche tanti trapiantati fra loro e con medici e nurse, il tutto fatto con una dolcezza e con una gioia talmente contagiosa, che la mia iniziale ed allarmata curiosità, è scivolata presto in un sorriso compiacente, sino alle scene finali in cui tutti i partecipanti di quell’iter complesso doloroso e, quando va bene, esaltante che è un trapianto d’organi, scendevano le scale e, facendo da sfondo alla frase “Ogni giorno con l’aiuto di tutti trapiantiamo un pò di felicità nei nostri pazienti”, continuavano a ballare nella Hall del centro clinico; cosa che mi ha realmente commosso, dato che la gioia per la “mission” che portavano avanti mi aveva letteralmente contagiato, fin quasi a mettermi a ballare anch’io al suono di quella musica così “frizzante”.
Nei titoli di coda scorreva intanto l’indicazione del perche’ della realizzazione: “Spot per la sensibilizzazione ai trapianti – Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari – Reparto Urologia. Dipartimento Patologia Renale” seguito dai ringraziamenti a pazienti ed operatori tutti. Uno spot, ripeto, che trasmette con dolcezza la felicità che può dare un trapianto riportando alla vita un paziente.
Termino col dire che mi è piaciuto molto. E, date le reazioni, viene da pensare che siamo un paese ancora fortemente provinciale, self-centered, che sa guardare solo il suo ombelico, invidioso d’imparare qualcosa di diverso dando semplicemente uno sguardo fuori porta.
PS: Infatti, chi si lamenta della eticità della realizzazione “filmica”, dovrebbe andare su youtube e guardare gli spot realizzati a decine dai tream di emergenza, di trapianti, e di terapia intensiva degli ospedali americani, australiani, brasiliani etc., dove, tra rap balli tanghi e canzoni, gli operatori ed i pazienti publicizzano una sanità che cerca di essere sana sensibilizzante ed accogliente, impegnata nel curare i pazienti, come, da Nord a Sud, è la sanità italiana, che, con tutti i suoi problemi, (vedi oggi le mobilitazione dei Medici davanti Montecitorio), ha l’orgoglio di essere ancora tra le migliori del mondo.
è On Line il Nuovo numero della Rivista Timeoutintensiva, il 18mo. Come tutti i numeri usciti nel settembre/ottobre degli altri anni, il numero risente della lunga interruzione estiva, fatta di letture, riflessioni, nuove idee. Quindi preparatevi ad un pout pourri di articoli intriganti, che spaziano da un argomento all’altro, e che rendono questo nuovo numero particolarmente interessante e diverso rispetto ad altri spesso a tema.
La Copertina, dedicata al rapporto tra le Nuove Neurotecnologie, studiate per migliorare la nostra salute e “qualità” di vita, e l’uso che se ne sta facendo in ambiti che al contrario limitano il nostro “libero arbitrio”, vi riporta le riflessioni scaturite dalla lettura di un articolo uscito su Neuroethics nel 2009 che, attraverso la disamina del film Minority Report, affrontava proprio questi temi.
In Focus, vi informiamo sugli studi epidemiologici condotti da un famoso mataricercatore, John P. A. Ioannidis, uno dei maggiori esperti mondiali per quanto riguarda la credibilità della ricerca medica. La domanda a cui ha tentato di rispondere nei suoi diversi articoli scientifici è sempre stata: Esiste una ricerca medica di cui possiamo fidarci, dato che essa determina le scelte terapeutiche dei medici ? Sollevando un appassionato ed interessante dibattito tra i ricercatori di tutto il mondo.
Inoltre, per noi che ci occupiamo del rapporto tra Umanizzazione della Medicina Critica e Narrazione in Medicina Intensiva, è “caduta a fagiolo” la bella Intervista a Paolo Malacarne che, nel reparto di Rianimazione che dirige a Pisa, sta tentando di coniugare l’apertura delle visite ai parenti H 24, con un approccio alla Medicina Narrativa indispensabile per migliorare la relazione di cura. E, per tenervi aggiornati sul difficile Iter della Legge sul Testamento Biologico ferma in parlamento, vi riportiamo il resoconto dell’ Audizione in Commissione Sanità del Responsabile del gruppo Bioetico della SIAARTI, dr. Gristina, svoltasi a fine settembre 2011.
Tra i “Racconti a margine” , sempre sul Fine Vita, vi consigliamo la lettura del racconto “Oggi per Domani” di Folfox4, (per gentile concessione del sito nottidiguardia.it), -segnalatoci per altro da un nostro affezionato lettore di Matera, Intensivista, Francesco Zuccaro-, nel quale un rianimatore mette nero su bianco le sue Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT), che non si possono non condividere, anche per la toccante sensibilità e profondità di ciò che afferma. Gli altri due Racconti, Patchwork e La vita dietro quella porta blu, sono dedicati, il primo ai “pezzi perduti” per strada (ricordate la canzone di Giorgio Gaber ?) da chi affronta il nostro lavoro nei reparti ad alta criticità, mentre il secondo guarda, con gli occhi di un neofita, all’impatto emotivo scaturito dalla visita ad un parente ricoverato in una rianimazione aperta ai familiari.
Dal bell’articolo sulle “Competenze Infermieristiche” in Nurse Science, realizzato dagli Educators dell’Ismett che curano la rubrica, passando per i due articoli scientifici in Student Corner sui problemi legati alla NIV nell’ EPAC ed al controllo della pressione della cuffia tracheale nelle VAP, saltiamo a piè pari alla sezione della Rivista che esula un pò dal nostro Target e cioè Out of Border, nella quale ci occupiamo di cose che poco hanno a che fare con la Medicina Intensiva, ma molto col nostro interesse a conoscere altre realtà al di fuori dei nostri confini, con l’interessante approfondimento di Emilia Maggiordomo e Laura Costa che si chiedono se la poesia oggi “sia o no definitivamente morta”, affiancato dalla recensione alle tristi ed ironiche foto dei coniugi ParkHarrison sull’ambiente che abitiamo, per finire con uno tra i cortometraggi più belli prodotti in questi ultimi anni, per la regia di Genovese e Miniero, nel quale una donna denuncia il furto di tutti i suoi sogni.
Ed ancora, in Graffiti, le belle foto di Rocco Sclafani dedicate alla “Mattanza” in Sicilia, che valorizzano i nostri 150 anni dalla nascita della Repubblica.
Gli articoli scientifici segnalati in Technè sono Il meglio della Rivista del 2010, cioè gli articoli in download più letti, e in Archive, trovate gli articoli scientifici in Lingua Inglese che ci sono più piaciuti.
Infine la Musica consigliata dal nostro Ugo Sottile, i Libri e, in Spothlight, i Video, tra i quali il tutorial per potervi pubblicizzare a bassissimi costi -detraibili- sul nostro Network, facendoci una donazione, in cambio di pubblicità, attraverso il pixelfundaraising. Un vostro nobile gesto che farà sempre più interessante la rivista ed aiuterà i progetti della nostra ONLUS.
Ciao a tutti, buona lettura ed al prossimo numero:
Vi proponiamo un breve ma interessante articolo dal sito Ospedaleaperto.com scritto dal dr Giuseppe Naretto, Anestesista-Rianimatore, che pone una problema che ognuno di noi operatori di cure intensive, ma anche i pazienti dimessi e chi si occupa di sanità, dovrebbe porsi.
Buona Lettura
Il paziente dopo la dimissione non è più affar nostro?
di G. Naretto (Servizio di Anestesia e Rianimazione 2 DEA dell’Ospedale S.G. Bosco di Torino)
La malattia di un paziente non si esaurisce con la sua dimissione dalla terapia intensiva. Quasi il 20% di loro muore entro un anno dal ricovero, e solo la metà dei sopravvissuti riprende la vita che aveva prima. In quasi tutti vi è un peggioramento della qualità di vita in relazione alla salute, che pur migliorando nel tempo non ritornerà al livello precedente il ricovero. Molti pazienti presentano disturbi psicofisici, come ansia, depressione, irritabilità, insonnia, dolore, debolezza, che interferiscono significativamente con le loro attività quotidiane. Vi è poi una quota, più piccola ma comunque sempre significativa di persone, che non sono più autosufficienti, dipendendo in maniera variabile da familiari e strutture.
Conoscere lo stato di salute dei pazienti che sono stati ricoverati in terapia intensiva è doveroso innanzi tutto nei riguardi dei pazienti stessi, che si portano spesso ancora addosso i segni della malattia. Questi segni sono “l’effetto collaterale” della nostra cura, è “il costo” che hanno dovuto pagare per sopravvivere alla malattia. Ogni gesto di cura, ogni atto sanitario, deve poter essere valutato secondo il semplice e universalmente riconosciuto rapporto costi/benefici. Il beneficio del ricovero in terapia intensiva non può essere semplicemente misurato in termini di sopravvivenza. Sicuramente esso è uno degli indicatori di successo della cura, ma non è il principale e soprattutto non può continuare ad essere l’unico. Non di un atto terapeutico che ha un peso così grande nella vita di un malato.
Incontrare questi pazienti permette di dare un valore a questo “peso”; di capire un po’ meglio cosa significa per una persona e per la sua famiglia essere tanto malato da dover richiedere un ricovero in rianimazione, cosa vuol dire percepire la fragilità e la “mortalità” del proprio essere, e cosa vuol dire assistere impotenti alla battaglia intrapresa per la salvezza. La nostra presenza nella vita di queste persone è tanto breve quanto dirompente, ma soprattutto condizionerà in maniera indelebile il loro futuro.
Crediamo che la riflessione su tutti questi aspetti del nostro lavoro può aiutarci a capire quali siano le strategie migliori per offrire una medicina sempre più all’avanguardia, sempre più appropriata e personalizzata che trova nella relazione di cura un continuo stimolo di miglioramento.
Oncologia: Gli Effetti della Carenza Di Farmaci Salvavita A Basso Costo
Durante il 36esimo Congresso Europeo di Oncologia Medica tenutosi a fine settembre a Stoccolma, è stato sollevato il problema degli elevati costi dei farmaci biologici per i tumori, in continuo aumento. “Concordo con la denuncia – ha dichiarato il prof. Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori di Aviano – ma noto che non si fa riferimento al problema della mancanza di altri farmaci oncologici, i chemioterapici tradizionali, che costano poco e che anche per questo mancano in particolare sul mercato americano, provocando una crisi sanitaria senza precedenti come denunciato da tempo senza per ora alcuna capacità di fronteggiarla.
A questo proposito Mario Pirani sulla Repubblica On line del 12 settembre 2011 ha pubblicato un interessante articolo a questo proposito di cui vi ripropongo un ampio stralcio
Savas
“Big Pharma risparmia sui prodotti salvavita”
di Mario Pirani
“Un esempio clamoroso di cosa significhi l’ assenza dell’ intervento pubblico e il “laissezfaire” senza limiti del libero mercato ci viene da quel che sta accadendo nella produzione di alcuni dei principali farmaci per la cura del cancro, ogni giorno meno reperibili anche per gli ospedali. Gli effetti sul piano terapeutico sono drammatici, come denuncia sul suo sito uno dei più noti specialisti italiani, Umberto Tirelli, direttore del Dipartimento di Oncologia medica dell’ Istituto nazionale dei tumori di Aviano, che dopo aver riportato le prime denunce della stampa americana sulla carenza di una ventina di farmaci, alcuni dei quali basilari, si sofferma sulle conseguenze negative a breve termine anche in Europa e in Italia. Stanno diventando introvabili o sempre meno reperibili alcuni farmaci, quali bleomicina, cisplatino, citarubicina, daunorubicina liposomiale, doxorubicina, etoposide, leucovorin, mecloretamina, tiotepa e vincristina, che compongono i regimi di chemioterapia in grado di guarire patologie come, ad esempio, leucemie acute, linfomi e tumori del testicolo e di avere benefici sostanziali nei tumori della mammella, del polmone e del colon. Molti di questi farmaci non possono essere sostituiti da altri simili, come nel caso della bleomicina, dell’ etoposide e della vincristina. Per cui già negli Stati Uniti e presto anche in Italia, sempre più spesso, ai pazienti oncologici, dovrà essere somministrato uno schema alternativo, dove il farmaco mancante viene sostituito da farmaci diversi da quelli delle combinazioni originali… e la Food and Drug Administration americana non sembra avere l’ autorità di chiedere alle case farmaceutiche di continuare queste produzioni. In proposito il presidente dell’ Associazione Americana di Oncologia, Michael Link, ha detto testualmente sul New York Times: «Questa carenza di farmaci che salvano la vita ci sta uccidendo:è inconcepibile che medicine che costano un paio di dollari alla fiala non siano più disponibili». Cosa fare? In Europa e in Italia, dove il tema della sanità pubblica è certamente più sentito che in Usa, le associazioni mediche, le Agenzie del farmaco, i Ministri della Salute si attivino e promuovano urgentemente leggi che obblighino le industrie, comprese le multinazionali, a dare la precedenza ai problemi dei pazienti e non soltanto a quelli economici o di manufacturing. Le case farmaceutiche motivano le loro scelte con la carenza della sostanza grezza per produrre i farmaci e con il fatto che i processi di manufacturing sono molto complessi, ma probabilmente il vero motivo risiede nella scarsa attrattività economica di questi farmaci che costano poco quando invece per i farmaci biologici i vantaggi economici possono essere notevolmente più alti.È necessario che le agenzie nazionali e internazionali indaghino sulle vere cause della mancanza di farmaci, senza dimenticare che lo stesso problema si presenta per certi antibiotici e per alcuni farmaci inerenti l’ anestesia. «Credo sia indispensabile – conclude il professor Tirelli – che la comunità internazionale degli oncologi faccia pressione sulle autorità politiche e sanitarie sia negli Usa, che in Europa e in Italia, e in particolare sulle agenzie deputate all’ approvazione dei farmaci, affinché diano la precedenza alla disponibilità di farmaci che, per quanto datati, sono ancora basilari per la terapia del cancro».