Etnografia in Emergenza: Pratiche di Traduzione di un Artefatto.
di Virginia Romano
DiSS-Dipartimento di Scienze Sociali – Università “La Sapienza”. Roma
“Questo contributo è tratto da un lavoro di ricerca, svolto attraverso l’uso di meto- dologie proprie dell’indagine qualitativa, e ha lo scopo di raccontare l’attività di un’azienda sanitaria italiana impegnata nella gestione dell’emergenza clinica. Durante la ricerca, ancora in corso, ho osservato le pratiche lavorative di una postazione territoriale provinciale e mi sto attualmente concentrando su una postazione urbana. Indosso una divisa e salgo a bordo di numerose ambulanze, accompagnando nel soccorso diverse squadre composte da infermieri, autisti e barellieri.
La mia ricerca si concentra sul ruolo degli artefatti – in questo caso la scheda di soccorso (SdS) di ambulanza – come attori dei necessari processi di coordinamento tra sistema dell’emergenza (l’ambulanza) e sistema ospedaliero (l’accettazione del Pronto Soccorso).
Questo contributo è tratto da un lavoro di ricerca, svolto attraverso l’uso di metodologie proprie dell’indagine qualitativa, e ha lo scopo di raccontare l’attività di un’azienda sanitaria italiana impegnata nella gestione dell’emergenza clinica. Durante la ricerca, ancora in corso, ho osservato le pratiche lavorative di una postazione territoriale provinciale e mi sto attualmente concentrando su una postazione urbana. Indosso una divisa e salgo a bordo di numerose ambulanze, accompagnando nel soccorso diverse squadre composte da infermieri, autisti e barellieri.
La mia ricerca si concentra sul ruolo degli artefatti – in questo caso la scheda di soccorso (SdS) di ambulanza – come attori dei necessari processi di coordinamento tra sistema dell’emergenza (l’ambulanza) e sistema ospedaliero (l’accettazione del Pronto Soccorso).”
Le Reazioni Dei Familiari Allo Stato Vegetativo: Un Follow Up A Cinque Anni
P. Chiambretto, D. Vanoli
“Pochi studi hanno fino ad ora affrontato i vissuti dei fami-liari di coloro che, a seguito di un evento patologico cere-brale acuto, traumatico e non, si trovano in stato vegetativo (SV), in particolare come viene affrontata dalle famiglie l’assistenza, anno dopo anno, alla degenza del proprio congiunto. Quali le strategie di coping messe in atto per gestire la quotidianità. Se gli alti livelli di depressione e di ansia, tipici di una situazione così difficile, si modificano con il passare del tempo. Il luogo scelto per l’assistenza al paziente, domicilio o lungodegenza, influenza lo stato emotivo del familiare. Sono presentati i risultati di un’indagine condotta su 30 familiari di pazienti in SV, 25 dei quali ricoverati presso strutture di lungodegenza e 5 assistiti al proprio domicilio. Saranno presentate alcune considerazioni rispetto ai dati emersi da uno studio longitudinale condotto su 16 familiari testati nel 2000 e rivalutati, utilizzando gli stessi strumenti di indagine, dopo cinque anni.”…
Oggi Giornata Mondiale sull’ Aids 2011: Ecco I Dati d’ Incidenza In Italia.Video Campagna Lila
Nel 2010 il tasso d’incidenza si è attestato al 5,5 ogni 100.000 residenti rispetto al 6,7 del 2009. Un sieropositivo su quattro non sa di esserlo e oltre un terzo lo scopre troppo tardi.
Oggi, 1° Dicembre, In occasione della Giornata mondiale sull’Aids, il Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha divulgato l’annuale report di dati sull’epidemiologia dell’HIV/AIDS in Italia. Ve Li Riportiamo:
“ISS 30 Novembre 2011
Nel 2010 quasi 6 persone ogni 100.000 residenti hanno contratto il virus dell’HIV, con un’incidenza maggiore al centro-nord rispetto al sud e alle isole. L’incidenza è stata di 4 nuovi casi su 100.000 italiani residenti e 20 nuovi casi su 100.000 stranieri residenti. In pratica, quasi una persona su tre diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera. Sono questi i dati riportati dal sistema di sorveglianza dell’ISS delle nuove diagnosi di infezione da HIV che, per la prima volta, è stata attivata in tutte le regioni italiane.
Il trend, nel corso degli ultimi 12 anni, nelle aree per le quali il dato è disponibile, mostra una lieve diminuzione dell’incidenza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, da attribuire principalmente alla diminuzione di incidenza tra consumatori di sostanze per via iniettiva, mentre l’incidenza è rimasta costante sia per gli eterosessuali che per gli MSM (maschi che fanno sesso con maschi). La maggioranza delle nuove infezioni è attribuibile a contatti sessuali non protetti, che tuttavia non vengono sufficientemente percepiti come a rischio, in particolare dalle persone di età matura, e che costituiscono l’80,7% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 49,8%, MSM 30,9%). Analogamente ad altre nazioni europee, si stima che un sieropositivo su quattro non sappia di essere infetto.
L’identikit del paziente
Le persone che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2010 hanno un’età mediana di 39 anni per i maschi e di 35 anni per le femmine, hanno contratto l’infezione prevalentemente attraverso contatti eterosessuali, e sono più spesso stranieri. Inoltre, oltre un terzo delle persone con una nuova diagnosi di HIV viene diagnosticato in fase avanzata di malattia, e presenta una rilevante compromissione del sistema immunitario (numero di linfociti CD4 inferiore a 200 cell/μL).
Le stime effettuate usando il metodo proposto dall’ UNAIDS indicano che il numero delle persone viventi con infezione da HIV (compresi i casi con AIDS e le persone che ignorano di essere infette) è aumentato passando da 135.000 casi nel 2000 a 157.000 casi nel 2010, principalmente per effetto della maggiore sopravvivenza legata alle terapie antiretrovirali che comportano un aumento progressivo del numero delle persone viventi HIV positive. I cambiamenti relativi che si osservano nel 2010 rispetto al 2000 sono: l’aumento delle infezioni acquisite attraverso contatti sessuali, la diminuzione delle persone che si sono infettate attraverso il consumo di sostanze per via iniettiva, l’aumento di casi in persone straniere, la diminuzione della quota di infezioni in donne e l’aumento di casi in persone con oltre 50 anni di età.
La sorveglianza dell’AIDS
La sorveglianza delle diagnosi di AIDS conclamato ha una copertura nazionale. Dall’inizio dell’epidemia nel 1982 ad oggi sono stati segnalati circa 64.000 casi di AIDS, di cui quasi 40.000 deceduti. I nuovi casi di AIDS e il numero di decessi per anno continuano a diminuire, principalmente per effetto delle terapie antiretrovirali combinate (introdotte nel nostro Paese nel 1996).
È diminuita nel tempo la proporzione di persone che alla diagnosi di AIDS vengono diagnosticate con una candidosi polmonare o esofagea, mentre aumenta la quota di pazienti che presentano linfomi.
Come precedentemente detto, molte persone HIV positive scoprono di essere infette dopo vari anni e pertanto non possono usufruire dei benefici delle terapie antiretrovirali prima della diagnosi di AIDS: dal 1996 ad oggi ben due terzi delle persone diagnosticate con AIDS non ha effettuato alcuna terapia antiretrovirale prima di tale diagnosi.
I dati sulla sorveglianza dell’infezione da HIV e dell’AIDS sono disponibili sul sito dell’ISS, alla pagina internet del Centro Operativo Aids, al Link che vi riportiamo:
Sarà Possibile In Futuro Leggere La Nostra Mente, E Nella Mente Di Comatosi E Vegetativi ? Dubbi e Implicazioni. Video
Nell’Ultimo Numero di Timeoutintensiva.it mi sono occupato di Neuroetica e di Tecnologie Mindreading, cioè di quelle tecnologie attrraverso le quali oggi si tenta di Leggere la mente. Nell’articolo al quale vi rimando,“Neuroetica:MinorityReport, le Neurotecnologie “Mindreading” ed il Libero arbitrio”, riportavo ad un certo punto le parole di Nikolas Rose proprio su queste tecnologie e scrivevo:
“Negli ultimi decenni, vi è stato uno spostamento nel guardare alla mente e al cervello, come “coestensive”, e le nuove tecnologie come la Tomografia Computerizzata (nel 1960), La Tomografia Computerizzata ad Emissione Singola di Fotoni (SPECT), la Tomografia ad Emissione di Positroni, la Risonanza Magnetica (nel 1980 ) e, più recentemente, la Risonanza Magnetica Funzionale hanno segnato alcuni progressi nel “vedere” il cervello “vivere”. Nikolas Rose, Professore del James Martin White of Sociology, e Direttore del LSE’s BIOS, Centre for the Study of Bioscience, Biomedicine, Biotechnology and Society, UK, afferma, a questo proposito che, “la maggior parte di coloro che fanno uso di queste tecnologie, scrivono come se ora fossimo in grado di visualizzare l’interno del cervello umano e di osservarne la sua attività in tempo reale, in quanto pensa, percepisce, risponde emotivamente, e desidera; come se si potesse vedere la ‘mente’ in attività nel cervello mentre “vive”. E’ stato riportato che un gruppo di neuroscienziati del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences hanno, per esempio, recentemente annunciato una tecnica, usando scansioni cerebrali ad alta risoluzione, che essi sostengono renda possibile la capacità di guardare “dentro” il cervello dei soggetti, al fine di leggere le intenzioni della persona. Più in concreto, l’US Department of Homeland Security sta già testando una serie di sensori e tecnologie di imaging che leggono la temperatura corporea, la frequenza cardiaca e respiratoria come “segni dell’ inconscio”, invisibile ad occhio nudo.” Studi che sono portati avanti e voluti fortemente dai think-tank militari e di intelligence del nostro mondo per essere usati più che a finalità biomediche, a scopi spionistici e militari. Cosa che fa nascere grossi problemi etici che ho affrontato nell’articolo su riportato.
Poi sul Sole 24 ore on line del 6 ottobre 2011 è uscito un articolo dal titolo “Guarda cosa penso (o quasi)” di Martin Monti che si chiedeva: è possibile guardare nella mente di qualcuno e sapere cosa stia pensando? Riportando uno studio appena pubblicato su «Current Biology», nel quale un gruppo di ricercatori della University of Berkeley, California, ha mostrato che è possibile ricostruire, a partire da registrazioni dell’attività cerebrale, quello che una persona sta vedendo. «Utilizzando sofisticate tecniche computazionali, stiamo creando un vocabolario che ci consenta di tradurre immagini in attività cerebrale e viceversa», spiega Jack Gallant, coautore del lavoro. Il gruppo ha osservato le attivazioni neurali di tre volontari sotto risonanza magnetica funzionale mentre guardavano brevi estratti di alcuni filmati. Queste attivazioni sono state mandate a un computer che, utilizzando opportuni algoritmi, ha “imparato” la corrispondenza fra determinate immagini, come la presenza di un volto, e la risposta cerebrale. Così, quando successivamente i tre volontari hanno guardato dei nuovi filmati, il computer ha potuto ricostruire ciò che vedevano a partire dalla sola attività cerebrale. Questa nuova tecnologia apre le porte a una migliore comprensione di come il cervello riesca a trasformare un mondo esterno, dinamico e ricco di informazione, in rappresentazioni interne. Lascia inoltre intravedere potenziali applicazioni in campo clinico, soprattutto nell’ambito di pazienti con gravi lesioni cerebrali. Una delle più grandi sfide di fronte a pazienti di questo tipo è poter valutare quanta attività cerebrale sia ancora intatta, e se questa attività sia sufficiente a dar luogo a uno stato di coscienza. Questa tecnologia potrebbe in futuro consentirci di stabilire, almeno per quanto riguarda le immagini visive, il livello di funzione cerebrale di pazienti paralizzati, non coscienti o con altre patologie che impediscono loro di esprimersi. Ma quello che questa tecnologia non ci consente di sapere è se a questa attività cerebrale corrisponda uno stato di coscienza fenomenologica, cioè la presa di coscienza di un’immagine e le sensazioni che vi si accompagnano.
In aggiunta Adrian Owen, grande “ricercatore dei misteri della mente”, ha cercato di rispondere alla domanda che molti si fanno sul fatto se sia possibile comunicare con le persone in coma, e sembra, a detta sua, che questo interrogativo abbia finalmente trovato una risposta. Gli studiosi dell’Addenbrooke’s Hospital di Cambridge e dello University Hospital of Liege, in Belgio, hanno infatti scoperto che le persone in stato vegetativo permanente non soltanto potrebbero essere in grado di capire cosa gli si sta dicendo, ma anche di seguire le indicazioni per pensare a determinate cose.
Durante gli esperimenti, infatti, ai 16 pazienti ospedalieri coinvolti nello studio, è stato chiesto di immaginare movimenti della mano destra e delle dita. Lo stesso test, è stato condotto anche su 12 persone sane.
Le onde cerebrali sono state registrate attraverso l’elettroencefalogramma (Eeg), con elettrodi applicati sulla testa che captano l’elettricità dei neuroni che si attivano, e quindi l’attività cerebrale. Dei 16 pazienti in coma, 3 hanno immaginato in modo ripetuto e affidabile, come sottolineato dai ricercatori, i movimenti della mano e delle dita, nonostante fossero, dal punto di vista comportamentale, completamente insensibili.
Come ha dichiarato il dottor Adrian Owen, che ha curato lo studio:
“I nostri risultati dimostrano che l’Eeg è in grado di identificare la coscienza “nascosta” nei pazienti in stato vegetativo permanente con un grado di precisione molto elevato. Si tratta di una tecnica molto economica e pratica, che potrebbe un giorno essere impiegata per stabilire una routine di comunicazione a “due vie” con il paziente.”
Fino ad oggi, infatti, si riteneva che il paziente in stato vegetativo sentisse lo stimolo, ma non fosse in grado di produrre una risposta. Lo studio, perciò, rappresenta un tassello importante della ricerca riguardo a un tema estremamente delicato come quello del coma anche se svolto su un numero minimo di pazienti. Ed il battage pubblicitario che gli si è dato dimostra quanto questi studi siano considerati il futuro della ricerca medica sulla possibilità del “Leggere la Mente”
E allora viene da chiedersi: E’ arrivato il momento in cui i nostri pensieri non saranno più privati e potranno esserci letti e/o estratti contro la nostra volontà? Per la scienza di oggi cercare di leggere la mente umana è un po’ come cercare di leggere un libro di cui conosciamo a mala pena la lingua con un paio di occhiali sfuocati.
Sottolinenado, come si legge tra le righe di queste ricerche, che queste tecniche lontano dall’essere risolutive del problema presentano il difetto di fondo di essere ancora troppo giovani e non controllate nè confermate. Un pensiero è un pensiero un’area attivata cerebrale è un’altra cosa. Come si può dire infatti e con certezza, da una serie di spikes in un Eeg, che il paziente ha immaginato e soprattutto cosa abbia immaginato ?
Nature Medicine: Una Nuova Ricerca Promette La Definitiva Cura Del Cancro.
Siamo ad Una Svolta nella Cura dei Tumori ?
I farmaci testati dai ricercatori riescono a fermare la proliferazione dei tumori agendo a livello enzimatico e inducendo l’apoptosi. Così il tumore non può più replicarsi.
Mitosi Cellulare
I tumori nascono da una divisione cellulare incontrollata, che nel caso delle neoplasie maligne, tende a invadere il tessuto dove è nato ed i tessuti circostanti, provocando cioè metastasi, spesso portando a morte il paziente. Fin dall’inizio, l’oncologia ha tentato di scoprire il modo di arrestare questa proliferazione cellulare.
Oggi i ricercatori dell’ Università di San Diego, California, annunciano, di essere a buon punto nel sintetizzare un farmaco efficace nel bloccare la replicazione del tumore. Nella straordinaria ricerca, pubblicata su Nature Medicine, hanno sviluppato il metodo a partire dallo studio di un enzima chiamato Raf.
Raf è un enzima che regola l’azione di altre proteine aggiungendo o sottraendo loro piccoli composti chimici (fosfati). Le RAF chinasi regolano la proliferazione e la sopravvivenza cellulare. Il ruolo di RAF nella proliferazione cellulare è stato collegato alla sua capacità di attivare le proteine mitogeno-attivate dalle chinasi. Se per qualche motivo – dovuto alla possibilità di una sua disregolazione nei tumori ad esempio a causa di una mutazione – l’enzima Raf non viene mai disattivato, esso permette alle cellule di moltiplicarsi senza limiti ed è proprio questo malfunzionamento che permette la nascita del tumore.
I farmaci sviluppati fino ad oggi per contrastare Raf interagivano con il suo sito attivo, ovvero la porzione della molecola direttamente implicata nei processi chimici e nella formazione di legami. Ma questo faceva sì che fossero poco specifici ed efficaci, colpendo tutte le cellule, non solo quelle malate.
Ma cosa cambia con lo studio pubblicato su Nature Medicine? L’approccio sviluppato dai ricercatori statunitensi è volto a cambiare la struttura stessa dell’enzima. I nuovi farmaci che ne derivano, sono degli inibitori allosterici, ovvero molecole che diminuiscono l’attivazione dell’enzima Raf cambiandone la forma e rendendolo inattivo.
La particolarità dei nuovi composti – chiamati dai ricercatori KG5 – è che questi agiscono solo sulle cellule che si stanno dividendo in maniera incontrollata, ignorando quelle normali o inattive. In questo modo solo l’enzima Raf presente nei tumori è bloccato: poiché non c’è più lui a dirigere la proliferazione cellulare il ciclo di mitosi si arresta e le cellule vanno incontro ad apoptosi, la morte programmata. Nella stessa maniera i farmaci agiscono sui vasi sanguigni: anche loro proliferano in maniera incontrollata nei tessuti malati, anche la loro diffusione viene bloccata dai KG5.
I KG5 sono già stati testati sia su linee cellulari tumorali, che in modelli animali. E addirittura gli stessi risultati sorprendenti sono stati ottenuti su tessuti umani derivanti dalle biopsie di pazienti. Da quando hanno cominciato la ricerca appena pubblicata, gli scienziati hanno già fatto numerosi progressi, arrivando a sintetizzare farmaci fino a 100 volte più potenti del primo sviluppato. Ora, il team spera di riuscire a far arrivare al trial clinico i più efficaci tra questi composti.
Ainhoa Mielgo, Laetitia Seguin, Miller Huang, Maria Fernanda Camargo, Sudarshan Anand, Aleksandra Franovic, Sara M Weis, Sunil J Advani, Eric A Murphy & David A Cheresh