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La Cura di Un Vegetativo: la Sofferenza del Non Vivere

Le Idee

La Cura Di Un Vegetativo: la Sofferenza del Non Vivere

di Francesca Sapuppo

Ciò di cui vi parlerò, è un problema recente, nato da quando la tecnologia ha permesso forme di vita umana sco- nosciute fino a poco tempo fa.
Noi Rianimatori lavoriamo per impe-dire la morte e per non far soffrire, ma se la nostra rianimazione è sicura-mente determinante per impedire la perdita di tante vite, diventa terribile per non dire orripilante quando non restituisce alla vita un paziente ma crea mostruosità come i pazienti in coma persistente, i vegetativi…, i cronici. Questi pazienti erano prima della rianimazione tutti esseri umani, ma i loro corpi e le menti diventano irriconoscibili rispetto a se stessi, orribili: rattrappiti, iperestesi, bocche spalancate, serrate che emettono suoni, occhi senza sguardo, fermi nei loro letti, in tutto dipendenti da altri, ma senza mai riuscire a comunicare con gli altri.
Questi sono pazienti che vivono una condizione di cui non si sa neanche dare una definizione di vita e di morte. Perchè, se l’esistenza diventa vita per la storia che ci si costruisce dentro, loro sicuramente esistono, ma vivono?
Ed allora nasce la domanda: cosa è un cuore che batte, un respiro che entra ed uno che va?  Può essere la vita di un uomo, può essere la vita di un organismo o forse è solo la morte tecnologicamente sospesa in un processo di morte naturalmente avviato. La rianimazione crea involontariamente questi mostri e poi non sa che fare. Poteva evitarlo?
Questi pazienti, a cui noi Rianimatori non rivolgiamo più cure intensive, vengono accuditi giorno per giorno con impressionante pazienza dagli Infermieri. Loro li lavano, li nutrono, li muovono, li coprono, ma con un malessere che è l’espressione degli stessi incubi e fantasmi che attanagliano ognuno di noi al pensiero di poterci ritrovare nelle stesse condizioni.
La relazione di cura, che si crea con questi pazienti senza vita e senza morte è unilaterale o mediata dai parenti, e siamo noi stessi Operatori di Terapia Intensiva che ci costruiamo una storia di cura. I parenti arrivano ogni giorno a vederli e anche loro come noi non hanno certezze. Così le loro domande: sono vivi e perché non si svegliano? Ed allora sono morti e mantenuti dalle macchine?
I parenti vivono con noi, li vediamo ogni giorno arrivare, ed il nostro lavoro diventa sempre più difficile quando nella stanza dei colloqui stai accanto a loro che vorrebbero notizie di un risveglio che non arriverà. Li guardi e sai che non avranno a che fare con la morte, che è una certezza anche se dolorosa, ma con la sofferenza quotidiana della cronicità dell’incoscienza. E lì ti senti a disagio e inadeguato a continuare a trattare questi pazienti in cui hai la sensazione di produrre un prolungamento del processo di morte anziché della vita, e spesso li vedi morire lì in quei letti, soli, con sonde, tubi, devastati nel corpo senza poter dare loro una adeguata dignità del morire.
Ed i parenti che rimangono increduli per giorni, aspettando un risveglio, soffrono non la sofferenza del morire del loro caro, ma la sofferenza del loro non vivere.
Vivono questa relazione unilaterale con i loro cari incoscienti in tanti modi: chi non riesce più ad avvicinarsi a quei letti, chi parla con loro come se ascoltassero, chi li tocca e li bacia, chi piange per giorni, chi non ha più lacrime, chi, decide di portali a casa. Tutti con l’identica angoscia, il coma gli ha strappato la loro storia d’affetto. Non è morto, non è vivo, è disperso e si attende, che cosa?
Attendono quel giorno di morte, dopo mesi di avere atteso invano un miracolo, dopo avere esaurito tutte le speranze, in modo ambivalente. Sperano tutti che quel giorno sia senza ulteriore sofferenza, tutti ne hanno paura ma tanti lo preferiscono a quelle sofferenze disumane che la rianimazione ha creato e la tecnologia mantiene. Sono e rimangono soli, noi incapaci dentro la rianimazione di dare una risposta medica, la società incapace di dare una risposta umana e solidale ad una condizione inesistente prima dei progressi della tecnologia. Rare sono le famiglie che sopravvivono a questi accadimenti più devastanti della morte. Sì, più devastanti della morte perché una famiglia si ritrova non solo nel dolore, ma anche ad accudire quasi in totale solitudine il proprio caro. Se non vi è una famiglia allargata uno dei congiunti deve rinunciare al proprio lavoro per un’assistenza continua, “ci si deve inventare sanitari, fisioterapisti, badanti, psicologici….e poi senza alcuna speranza”.
Non più una giornata libera, non una vacanza dal malato e da se stessi, si comincia a morire da vivi per un vivo già morto, spesso colui che accudisce si ammala di una malattia senza nome: “la disperanza”. Ed è di questo che le famiglie hanno paura, paura di “non farcela”, per questo spesso sono restii a portare via i malati dalla Rianimazione o dai Centri di Riabilitazione.

Fonte:

Timeoutintensiva.it

Le Reazioni Dei Familiari Allo Stato Vegetativo: Un Follow Up A Cinque Anni

Stati Vegetativi

Le Reazioni Dei Familiari Allo Stato Vegetativo: Un Follow Up A Cinque Anni

P. Chiambretto, D. Vanoli

“Pochi studi hanno fino ad ora affrontato i vissuti dei fami-liari di coloro che, a seguito di un evento patologico cere-brale acuto, traumatico e non, si trovano in stato vegetativo (SV), in particolare come viene affrontata dalle famiglie l’assistenza, anno dopo anno, alla degenza del proprio congiunto. Quali le strategie di coping messe in atto per gestire la quotidianità. Se gli alti livelli di depressione e di ansia, tipici di una situazione così difficile, si modificano con il passare del tempo. Il luogo scelto per l’assistenza al paziente, domicilio o lungodegenza, influenza lo stato emotivo del familiare. Sono presentati i risultati di un’indagine condotta su 30 familiari di pazienti in SV, 25 dei quali ricoverati presso strutture di lungodegenza e 5 assistiti al proprio domicilio. Saranno presentate alcune considerazioni rispetto ai dati emersi da uno studio longitudinale condotto su 16 familiari testati nel 2000 e rivalutati, utilizzando gli stessi strumenti di indagine, dopo cinque anni.”…

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Timeoutintensiva.it, N°19, Tecnè, 12 Dicembre 2011

Stati Vegetativi e Stati di Minima Coscienza: Risultati della Ricerca della Fondazione “Carlo Besta”

Ricerca

Stati Vegetativi e Stati di Minima Coscienza: Risultati della Ricerca della Fondazione “Carlo Besta”

In un convegno a Milano i dati finali del più grande progetto italiano di ricerca su 602 Pazienti in Stato Vegetativo e di Minima Coscienza

3 pazienti su 4 sono in stato vegetativo o di minima coscienza dopo arrresto cardiocircolatorio o emorragie cerebrali. I pazienti sono in maggioranza maschi con una età media di 55 anni, e ad assisterli per il 70% sono le donne, che in più del 50% dei casi vi dedicano oltre 3 ore al giorno.   Poche Regioni, prevalentemente al Nord e al Centro, hanno strutture dedicate.

La Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta, ha presentato i  risultati finali del progetto nazionale “Funzionamento e Disabilità negli Stati Vegetativi e negli Stati di Minima Coscienza”. In Italia, da un punto di vista epidemiologico, organizzativo, politico, socio-assistenziale ed etico, risulta ad oggi ancora poco esplorata la realtà complessa e articolata riguardante le persone in Stato Vegetativo (SV)(1) e in Stato di Minima Coscienza (SMC)(2), e le loro famiglie. Di questo si è occupato la ricerca finanziata dal Ministero della Salute tramite il Centro Nazionale Prevenzione e Controllo Malattie (CCM). Il progetto, coordinato dall´aprile del 2009 dalla neurologa Matilde Leonardi e dai suoi collaboratori della struttura “Neurologia, Salute pubblica e Disabilità” della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico C. Besta di Milano, ha visto il coinvolgimento di 78 centri italiani, 39 tra associazioni e federazioni di familiari che si occupano di persone in SV e SMC, la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG) e l´Associazione Italiana Donne Medico (AIDM).  La fase di raccolta dei dati, successiva al momento di formazione degli operatori dedicati alla somministrazione del protocollo su tutto il territorio nazionale, è stata alquanto impegnativa e complessa, e si è svolta in sedici regioni italiane nel periodo compreso tra giugno 2009 e marzo 2010. E’ stato così possibile elaborare e analizzare dati sul più ampio campione di persone in SV e SMC mai riportato in letteratura. Sono stati infatti reclutati 602 pazienti (566 pazienti adulti e 36 bambini). Ecco un breve report dei risultati più importanti ottenuti:

-L´età media dei pazienti adulti è di 55 anni e il 60% di loro è di genere maschile.

-La distanza media dall´evento acuto è di 5 anni per l´80% del campione e nel restante 20% che supera questo lasso di tempo si trovano diversi pazienti in SV o in SMC da più di 15 anni.

-Il 70% dei pazienti è in SV mentre il 30% è in SMC e la maggior parte dei pazienti della nostra ricerca (64%) è ricoverata in strutture di lungodegenza (25 strutture), altri pazienti (26%) in strutture riabilitative (38 strutture) e altri ancora al domicilio (10%).

-Da un punto di vista territoriale, la maggior parte del campione proviene dal Nord Italia (61%), seguito dal Centro Italia (22%) e dal Sud e Isole (17%).

-Da un punto di vista clinico, il 68% dei pazienti adulti ha la cannula tracheostomica, il 67% non presenta piaghe da decubito e il 94% si alimenta tramite PEG, con un sondino inserito dall’esterno nello stomaco.

-Nel campione di bambini con diagnosi di SV e SMC, con una età media di 8,5 anni e per il 69% di genere maschile, il 26% ha la cannula tracheostomica, il 91% non presenta piaghe da decubito e il 71% si alimenta tramite PEG”.

-L´eziologia del campione è prevalentemente di origine non traumatica (74% nel campione dei pazienti adulti), dovuta ad anossia da arresto cardiocircolatorio o emorragie cerebrali.

Sono stati raccolti dati anche su un campione di 487 “caregiver” (coloro che assistono i pazienti)

-Il 70% è di genere femminile e il 56% di età media oltre i 50 anni.    – Sul piano occupazionale, è importante sottolineare che il 49% lavora, il 24% è pensionato e il 23% casalingo.

-Per quanto riguarda l´impegno temporale profuso da ciascun caregiver per la cura del paziente, il 55.5% ha dichiarato di dedicarci più di tre ore al giorno, di cui il 22% tra le 4 e le 6 ore quotidiane, il 12% oltre le 6 ore/die.

-La maggior parte dei caregiver dei minori, invece, dichiara di prestare assistenza continua 24 ore al giorno.

Il Progetto della Fondazione Besta ha infine raccolto i dati di 1243 operatori socio-sanitari presenti nelle strutture italiane partecipanti. Il campione era costituito da diverse figure professionali di cui il 34% infermieri professionali, 30% assistenti sanitari, il 19% terapisti della riabilitazione e il 12% sono medici. Il 74% risulta essere di sesso femminile, il 50% coniugato e il 90% di nazionalità italiana. Le analisi hanno di fatto riscontrato che diverse figure professionali coinvolte nella cura dei pazienti con disturbi della coscienza, riportano un impatto e uno stress lavorativo che è maggiore per gli infermieri. Nel 2011 il follow-up del campione di oltre 600 pazienti in SV e SMC sul territorio nazionale già inclusi nel progetto nazionale “Funzionamento e Disabilità negli Stati Vegetativi e negli Stati di Minima Coscienza si svolgerà in collaborazione con tutti i 78 Centri italiani nell ´ambito del nuovo progetto nazionale PRECIOUS, ricerca biennale finanziata dal Ministero della Salute attraverso il CCM e coordinata dalla Regione Emilia-Romagna.

Approfondimenti (*):

1) STATO VEGETATIVO-SV

Condizione clinica che insorge dopo uno stato di coma causato da un evento acuto, trauma, ictus, anossia cerebrale, ecc. Secondo la Multi-Society Task Force (1994) lo stato vegetativo E’ caratterizzato da:

• mancata coscienza di sé e mancata consapevolezza dell’ambiente circostante;

• assenza di qualunque gesto volontario e finalizzato di tipo spontaneo e di risposte motorie, verbali e comportamentali a stimoli di diversa natura (visivi, uditivi, tattili o dolorosi);

• assenza di comprensione o produzione verbale;

• intermittente vigilanza che si manifesta con la presenza di cicli sonno-veglia, (esempio i periodi di apertura spontanea degli occhi);

• sufficiente conservazione delle funzioni autonomiche tale da permettere la sopravvivenza con adeguate cure mediche;

• incontinenza urinaria e fecale;

• variabile conservazione dei nervi cranici e dei riflessi spinali.

Le probabilità di recupero sono sempre minori con il passare del tempo dall’evento acuto, tranne alcuni rari e sporadici casi riportati

2) STATO DI MINIMA COSCIENZA-SMC

E’ una condizione clinica caratterizzata da una grave compromissione della coscienza nella quale, tuttavia, possono essere individuati comportamenti finalizzati, volontari, inconsistenti ma riproducibili, a volte mantenuti sufficientemente a lungo, non configurandosi così come comportamenti riflessi. Lo stato di minima coscienza può presentarsi dopo un coma o può rappresentare l’evoluzione di un precedente stato vegetativo; relativamente alla durata, lo stato di minima coscienza puė essere presente per un breve periodo o può perdurare per un tempo più o meno protratto o indefinito fino alla morte del paziente (Aspen Consensus Group,1996; Giacino et al., 2002)

(*) Dal gruppo di lavoro del Ministero della salute su Stati Vegetativi e di Minima Coscienza – DM 15 ottobre 2008

Fonti: Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta”

News: Indagine Fimmg: Al Sud Il 35% Degli Stati Vegetativi Non Ha Assistenza Domiciliare

News

Indagine Fimmg: Al Sud Il 35% Degli Stati Vegetativi, Non Ha Assistenza Domiciliare

Riportiamo Il Comunicato Stampa della Fimmg

“Sondaggio Centro Studi Fimmg: Federazione Medici Di Medicina Gnerale: Oltre Un Medico Di Medicina Generale Su 3 Segue Pazienti In Stato Vegetativo O Minima Coscienza

Nel 97% Dei Casi Il Medico Di Famiglia E’ La Figura Di Riferimento

“Oltre un terzo dei medici di medicina generale conta tra i propri assistiti pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza. La maggioranza di questi pazienti vive abitualmente a casa: il 55% al Nord, il 63% al Centro ed il 70% al Sud. A vivere in strutture residenziali è il 44% dei pazienti al Nord, il 36% al Centro ed il 27% al Sud. Sia a domicilio che presso le strutture residenziali il medico di famiglia costituisce per il 97% dei casi la figura clinica di riferimento.

Questi alcuni dati raccolti dal Centro Studi nazionale della FIMMG, diretto da Paolo Misericordia, attraverso un questionario effettuato a marzo su un campione di oltre mille medici di medicina generale, rendendo così la ricerca la più ampia mai condotta in Italia su questa patologia nella fase di assistenza territoriale.  L’iniziativa è nata nell’ambito di un Progetto Nazionale di ricerca, finanziato dal Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) del Ministero della Salute e coordinato dall’Istituto Besta di Milano. I risultati sono stati esposti oggi in occasione del convegno di presentazione organizzato a Milano dal Besta.

“L’indagine è stata orientata a conoscere le dimensioni di un fenomeno che è motivo di enorme sofferenza per gli stessi pazienti, ma soprattutto per i loro familiari e causa di importanti oneri assistenziali per il sistema sanitario e per tutti i care-giver coinvolti – ha spiegato Paolo Misericordia.

Dall’indagine emerge purtroppo che quasi il 25%  dei pazienti che vive abitualmente presso la propria abitazione non dispone di alcun servizio di assistenza domiciliare, con un picco del 35% al Sud. Oltre al medico di medicina generale, la figura professionale più frequentemente coinvolta nell’assistenza è l’infermiere, seguita dal fisioterapista e dall’operatore socio-sanitario. Interessanti appaiono anche le informazioni relative alle maggiori criticità assistenziali per i pazienti e per le loro famiglie, percepite dal medico: al primo posto c’è l’assistenza psicologica, poi l’assistenza riabilitativa, sociale, medico-specialistica e infermieristica costituiscono, nell’ordine, le successive aree di maggior criticità, senza particolari differenze per distribuzione geografica. Il medico di medicina generale riferisce che un suo ruolo importante è proprio quello di supportare psicologicamente la famiglia e di gestire fasi complesse e onerose dell’assistenza, interpretando il ruolo di case-manager ed intercettando bisogni.

Per Approfondimenti vai al Sito della FIMMG

Stato Vegetativo E Accanimento Terapeutico: Cosa Ne Pensano I Familiari

Articolo Scientifico

Stato Vegetativo E Accanimento Terapeutico: Cosa Ne Pensano I Familiari

P. Chiambretto, C. Guarnerio
Servizio di Psicologia, Cooperativa Vitaresidence, Guanzate (CO), Legnano (MI)

Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia Supplemento A, Psicologia © PI-ME, Pavia 2007; Vol. 29, N. 1: A12-A18

http://gimle.fsm.it

per gentile concessione

I passi avanti compiuti dalla medicina in tutti i suoi settori ci confrontano sempre più spesso con questioni che non sono più solo di tipo clinico, ma che inevitabilmente ci
pongono di fronte a interrogativi di tipo etico e morale. Le patologie croniche, le condizioni terminali, gli stati vegetativi sono solo alcuni dei più comuni esempi di condizioni cliniche che impongono al sanitario anche una riflessione (e una scelta?) di tipo etico. Gli strumenti che la medicina mette nelle mani dei sanitari sono tali da portarli a riflettere non solo sulla validità clinica di una scelta ma anche sulla opportunità di intraprenderla, sulla proporzionalità dell’intervento. Si pone sempre più frequentemente la necessità di calibrare l’intervento tra l’opportuno e l’eccessivo, per fare questo non sempre è sufficiente la competenza tecnica, ma intervengono
altri fattori più personali e difficili da standardizzare rispetto al significato stesso della vita e della sua qualità. Al giudizio tecnico-scientifico degli operatori del settore fa da corollario la voce dei familiari. Una voce gravata dal peso dell’assistenza, dal dolore per la condizione che stanno vivendo, dalla difficoltà di comprendere un linguaggio anche tecnico che non padroneggiano.

Il presente lavoro è un’indagine preliminare condotta con 32 familiari di pazienti in stato vegetativo o a minima responsività, sia ricoverati in strutture di lungodegenza sia gestiti al domicilio, rispetto alla conoscenza del concetto di accanimento terapeutico e di quali elementi della quotidianità del paziente possano configurarsi, a loro parere, come accanimento… Vai all’articolo Cliccando qui

Timeoutintensiva.it, N°11/12, Focus, Dicembre 2009