“La morte mi riguarda o riguarda solo il mio organismo? Questo pensiero che accompagna la vita di noi tutti, che limita la nostra progettualità, che ci fa compiere certe scelte a una certa età e non a un’età più avanzata, questo pensiero della fine dei nostri giorni che coinvolge aspettative e speranze, progetti e rimpianti, affetti e stili di vita, è una faccenda da affidare alle sorti della materia di cui siamo fatti, o è una faccenda su cui anche noi possiamo intervenire, proprio perché coinvolge quel che siamo e non tanto quello di cui siamo fatti? Quando ci dovessimo emancipare da questo grossolano materialismo che, cadenzando la vita sulle sorti della materia, ci espropria di quel che la vita ha significato per noi, dello stile che le abbiamo dato, dell’impronta che le abbiamo conferito, per consegnarci irrimediabilmente a quell’evento non nostro che è la morte organica, anche la decisione se prolungare o meno la vita del nostro organismo risulterebbe più facile. Del resto tanta incertezza e tante discussioni intorno alla morte assistita, chiesta, invocata e talvolta accordata, quando il paziente è vivo solo per le leggi biologiche dell’organismo, in quella notte buia della coscienza che non attende più nessuna alba, dipende dal fatto che è incerto il nostro concetto di “vita”, che oscilla paurosamente tra la vita anonima dell’organismo e quella personalizzata dell’individuo che, nelle residue possibilità biologiche del suo organismo, non riconosce alcuna immagine di sé “.
U. Galimberti