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Omaggio a Wilfred Bion: per una Teoria Gruppale della Mente

Omaggio a Wilfred Bion: per una teoria gruppale della mente

N.d.R. Questa nota vuole essere un timidissimo omaggio ad uno tra i più grandi pensatori del ‘900 colui che sviluppo’ la Teoria Freudiana in maniera originale e che ha aperto orizzonti inimmaginabili. Dovendo occuparmi nel mio lavoro di gruppi sanitari, e non essendo un analista nè volendo esserlo ma avendo letto molte cose della produzione Bioniana spesso quelle più abbordabili che quelle tecniche, ho voluto con questa nota introdurvelo attraverso le parole della figlia e di appunti presi qui e là. Rendendola una nota un pò per tutti voi.
S. Vasta

L’apporto di Bion alla psicoanalisi
di Parthenope Bion Talamo

Quando prima ho detto dell’idea di Bion che l’essere umano è una sorta di palinsesto mi riferivo proprio a questa sua idea dell’individuo come un gruppo che si può quasi srotolare; non so se avete presenti i quadri di Klimt con i vasi cinesi o coreani srotolati come sfondo del quadro o come vestito della donna, l’idea di Bion di un individuo è un po’ di questo tipo qua, che se tu guardi dentro l’individuo vedrai un intero gruppo di persone.
Questo è un concetto molto interessante che ha, a mio avviso, delle radici molto lunghe anche nella cultura inglese. Direi che la forma letteraria o artistica che più di altre caratterizza la cultura inglese è proprio il teatro, la poesia e il teatro che nella figura di Shakespeare comunque si coniugano assieme. Tuttora il teatro in Inghilterra è una forma estremamente importante, un veicolo estremamente importante di comunicazione sociale. Negli anni ’50, probabilmente adesso la situazione non è cosi rosea, a Londra c’erano 500 teatri. Molti movimenti sociali e pacifisti, per esempio hanno avuto importante voce teatrale: basti pensare a … (incomprensibile nella registrazione il cognome dell’autore) per quanto riguarda tutta la politica irlandese. Per noi il teatro è significativo come forma di protesta sociale, denuncia sociale, descrizione della società. Credo che Bion abbia preso molto l’idea dell’individuo come gruppo da questa idea di cose che si possono vedere in un palcoscenico, cioè persone che si parlano tra loro e si forma un discorso coerente tra le varie voci.
In Inghilterra nel ’300 per esempio si fecero, come in molti paesi europei, delle recite il giorno di Corpus Cristi, delle storie bibliche. Questo però in Inghilterra ha avuto uno sviluppo che in altri paesi europei, che io sappia, non ha avuto; non si recitavano le storie bibliche ma si recitavano anche drammi, detti le moralità e misteri. Le moralità sono molto interessanti perché i personaggi in scena sono personaggi come la temperanza, l’ira, il pudore cioè qualità mentali a cui si da voce e che si fanno interagire tra di loro. Ora credo che Bion abbia avuto molto questo tipo di cosa anche sullo sfondo della mente scrivendo “Memoria del futuro”, che è un libro di 400-500 pagine di testo di cui i primi sette capitoli sono apparentemente di tipo narrativo. Tutti gli altri sono a forma di dialogo, dialoghi in alcune parti in cui i personaggi sono chiariti, altri in cui non si sa chi è che sta parlando ma che comunque è dialogato. Questo per me è qualcosa che Bion ha fatto con varie intenzioni non soltanto una; però una di queste intenzioni era proprio di far presente come un solo individuo in realtà parla con una molteplicità di voci, di cui se ne possono sentire poche contemporaneamente ma quasi sempre più di una.

Il dolore
Concetto centrale nella teoresi bioniana è quello del dolore. Per Bion il dolore e la crescita psichica sono inseparabili.
Da un lato, tale questione è intimamente collegata alle riflessioni dell’autore sulla memoria e sul desiderio: egli infatti dichiara espressamente che l’astinenza dalla memoria e dal desiderio risulta essere una “disciplina” disturbante, comportante “pericoli reali” e in questo senso dolorosa. Dall’altro si ricollega al tema della conoscenza e del cambiamento, che Bion, a ragione, definisce “cambiamento catastrofico”.
Infatti, ogni volta che, in un discorso circolare, una nuova conoscenza acquisita conduce a uno spostamento del vertice dal quale osservare la realtà (tanto esterna quanto interna) e la sperimentazione di un nuovo vertice di osservazione permette la presa di coscienza di nuovi fatti (nel senso in cui il termine “fatto”è inteso in Bion, si ha la frammentazione dei “vecchi” punti di riferimento cognitivi ed emotivi per giungere, ammesso che il corso degli eventi lo permetta, a una nuova ristrutturazione di campo.

La teoria gruppale della mente
“Non si può tralasciare … come in qualche modo la ricerca di Bion si
apra e si concluda … in una visione gruppale. Tanto da permetterci di concludere che l’originalità specifica di Bion è proprio rappresentata da una visione della mente caratterizzata da un funzionamento gruppale” (Viola, 1996, p. 70).

Il desiderio
Il discorso di Bion sulla memoria è complementare a quanto egli dice a proposito del desiderio: come la prima rimanda al passato, il secondo guarda al futuro ed entrambi distolgono dall’unica cosa che ha effettivo interesse, ovvero l’hic et nunc

CENNI BIOGRAFICI
Trascorse l’infanzia in India e di quel tempo sentì sempre la nostalgia, come scrive in “La Lunga Attesa”, un’autobiografia dei primi vent’anni; all’età di otto anni fu trasferito in Inghilterra per entrare in college. Dopo la scuola superiore, si arruolò come ufficiale carrista, partecipò ai combattimenti nelle Fiandre durante l’ultimo anno della Prima guerra mondiale meritandovi una decorazione; l’esperienza di questo periodo segnò la sua vita e il suo pensiero.
Dopo la guerra, conseguì la Laurea in storia all’Università di Oxford, studiò quindi medicina all’Università di Londra e, conseguito il titolo accademico, iniziò ad interessarsi di psicoterapia. Dal 1932 frequentò la Tavistock Clinic, e nel 1938, iniziò, con John Rickman, un’analisi che fu interrotta dallo scoppio della Seconda guerra mondiale e abbandonata quando i due colleghi si trovarono a lavorare insieme all’ospedale militare di Northfield; in tale contesto Bion cominciò a sviluppare la sua teorizzazione sui gruppi, che avrebbe trovato una formulazione definitiva in “Experiences in Groups” (1961). Nel 1945 intraprese un’analisi con Melanie Klein. In tale periodo divenne una figura di spicco nella Società Psicoanalitica Britannica, ricoprendo le cariche di Direttore della Clinica Psicoanalitica londinese dal 1956 al 1962 e di Presidente della Società dal 1962 al 1965. Si trasferì a Los Angeles nel 1968 e tornò in Inghilterra pochi mesi prima di morire nel novembre del 1979.

Per chi volesse approfonndire la Bibliografia e i link su W. Bion
http://it.wikipedia.org/wiki/Wilfred_Bion

http://en.wikipedia.org/wiki/Wilfred_Bion

Quel Confine Sottile tra Speranza ed Illusione

Articolo Scientifico

Quel Confine Sottile tra Speranza ed Illusione

Elaborazione del lutto e difficoltà dei genitori del prematuro (e del personale pediatrico) nel gestire diversi tipi di perdita

A. Clarici*, R. Giuliani**

* Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo (DPRS), Università di Trieste Struttura Complessa di Neonatologia e TIN, Ospedale Infantile “Burlo Garofolo”

** Centro Studi di Psicoterapia a Orientamento Psicoanalitico – Trieste

Il vertice psicoanalitico si rivolge alla realtà del percorso del lutto, un processo che permea ogni attività all’interno di un reparto di Terapia Intensiva Neonatale, sia al mondo delle aspettative consce o inconsce delle persone (i genitori e il personale) coinvolte con il neonato prematuro. Un contesto psicoanalitico permette di riconoscere questo tipo di dolore, e fornisce l’opportunità di uno spazio e un tempo, al momento della nascita, in cui i genitori possano essere aiutati innanzitutto a riconoscere l’esistenza di questo doloroso “gap” tra le loro aspettative e la realtà attuale, e riuscire a parlarne e a integrarlo nella propria mente, e (fatto, ancora più importante ai fini preventivi), di seguito nella mente del bambino. Vengono presentati tre casi clinici che sono qui distinti per la diversa natura del processo del lutto. Il primo (a) è dato dal lutto per un bambino non nato, il secondo (b) per un bambino morto e il terzo (c) per una bambina con handicap perché nata con una sindrome genetica… Continua qui

Timeoutintensiva, Focus, N. 14,  Luglio 2010

Sigmund Freud, padre della psicoanalisi: i suoi ultimi giorni in un video

La malattia che portò Freud alla morte cominciò a manifestarsi improvvisamente nel 1923, all’età di 67 anni, con brevi ma ricorrenti gengivorragie, alle quali egli non diede particolare importanza, fino a quando non notò in corrispondenza della sede dell’emorragia una tumefazione che dopo un po’ cominciò ad estendersi verso il palato. Decise allora di consultare il prof. Hajek, direttore della Clinica Rinolaringoiatrica dell’Università di Vienna, il quale gli diagnosticò una lesione leucoplasica dovuta al fumo (egli era un forte fumatore di sigari), consigliandone l’asportazione chirurgica che fu effettuata qualche giorno dopo. L’esame istologico rivelò la natura maligna della lesione, risultata in un carcinoma. Quattro mesi dopo, la regione precedentemente trattata chirurgicamente fu interessata da un’ulcera del palato duro che si estendeva ai tessuti molli della guancia, alla mucosa mandibolare adiacente fino a lambire il margine linguale. Alla luce di questo nuovo quadro, si predispose un intervento radicale che fu affidato al prof. Pichhler di Vienna, uno dei più insigni specialisti europei di chirurgia orale. Una recidiva a due mesi, richiese anche l’asportazione di parte del palato molle. Dopo questo importante intervento, cominciarono 16 anni di disagi e sofferenze, costellati dal ripetersi della malattia e di innumerevoli altre operazioni effettuate chirurgicamente. In questo lungo calvario durante il quale fu sottoposto complessivamente a ben trentatré interventi di chirurgia orale, egli ebbe comunque sempre la forza di seguire il suo lavoro scientifico e di diffondere il suo pensiero, anche dall’esilio inglese cui fu costretto dopo l’invasione dell’Austria da parte delle truppe germaniche nel 1938. Nel corso degli ultimi anni, le sue condizioni generali di salute peggiorarono. Nonostante tutto, seppur a ritmo ridotto, egli continuava a visitare i pazienti avvalendosi della collaborazione della figlia Anna, data la sua ormai grave dislalia, ai limiti della incomunicabilità verbale e una ipoacusia destra. L’ipoacusia lo costrinse tra l’altro a cambiare la posizione dell’arcinoto lettino per poter prestare l’orecchio sano ai suoi pazienti. Gli era venuto a mancare progressivamente un fluido linguaggio ed un attento ascolto. Un anno prima della morte, nel 1938, al suo arrivo a Londra aveva concesso un’intervista alla BBC. L’intervista si era conclusa con uno sguardo alla strada ancora da percorrere per la scienza neonata: “La lotta non è ancora terminata”, affermava. Il suo attaccamento estenuante nei confronti della madre Amalie Nathanson, gli aveva fatto dire, dopo la morte di lei nel 1930, che solo ora e certamente non prima anche lui avrebbe potuto morire. Il 21 settembre 1939, Freud consumato fra atroci sofferenze sul letto di morte mormorò al proprio medico di fiducia: “Ora non è più che tortura, non ha senso” e poco dopo ancora: “Ne parli con Anna, e se lei pensa che sia giusto, facciamola finita“. Freud si affidò al sentimento della figlia. Morì due giorni dopo, all’età di 83 anni il 23 settembre 1939, senza risvegliarsi dal sonno tranquillo che la morfina gli aveva provocato.

Vorremmo concludere la nostra biografia con questo eccezionale pensiero di Thomas Mann: “anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all’umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono né negare, né occultare (…) e se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud.”

fonte http://www.sioechcf.it/?do=10

http://www.liceoberchet.it/netday00/scienza/freud/biografia1.htm

L’Alba dell’Oblio: Corpo E Psiche: Dialogo tra Sordi ?

Dialogo tra Corpo e Psiche: il Balletto

Mente: Salve ! Da dove sei spuntato fuori ?

Corpo: Che – Tu di nuovo. Io sono Corpo. Puoi chiamarmi Soma se preferisci. E tu chi sei?

Mente: Chiamami Psiche. Psiche -Soma

Corpo: Soma-Psiche

Mente: Dobbiamo essere collegati !

Corpo: Mai ! Non per quanto mi riguardi.

Mente: Oh via ! Non sarebbe poi così male, no ?

Corpo: Peggio… Tipico di Mente- Tutte Parole e niente contenuto. E Tu da dove Ricevi i Tuoi Dolori ?

Mente: Presi in prestito… dal Passato… Strano- Il significato non trapassa da te a me, nè da me a te

Corpo: E’ il significato del dolore che ti mando…. le parole che io non ho mandato- possono anche passare, ma il senso va perduto

Mente: Non Farmi Ridere. Quando io soffro di angoscia, tu hai dolore. In effetti io ho dolore, rispetto al quale tu ignori tutto…

Soma: Bene Psiche, Non ammetto che vi sia tale persona all’ infuori della creazione della mia digestione

Psiche: A chi dunque stai parlando ?

Soma: Sto Parlando a me stesso…

Psiche: E’ L’unico linguaggio a cui presti orecchio, Tutto ciò che dici è dolore.

Soma: Rispetti solo il dolore e la sua mancanza. L’unica occasione in cui riesco a farti arrivare qualcosa e’ col discorso del dolore…

Psiche: Mi hai Nuovamente confuso. Dolore, piedi, tutto mischiato. Perchè non vuoi deciderti e scegliere ?

Soma: Lo faccio. Se tu rispettassi i miei “sentimenti”, e facessi quello che sento non saresti in questa confusione.

Psiche: Chi è responsabile- i tuoi sentimenti o le tue idee? Tutto ciò che mi possiede è tuo: liquido amniotico, luce odori, gusto rumore, mi trovo avvolta in tutto questo.

Soma:E’ quello che avviene dal non penetrare, ci si rompe su e giù

Psiche:E’ quello che capita del penetrare dentro o fuori- Sono confusa

Ragazzo: Lasciamo la cosa a loro. (Chiama…) Ragazzi…. Ragazze….

Tratto da: Memorie del Futuro, Wilfred R. Bion, L’alba dell’Oblio, Raffaele Cortina Editore