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Sigmund Freud, padre della psicoanalisi: i suoi ultimi giorni in un video

La malattia che portò Freud alla morte cominciò a manifestarsi improvvisamente nel 1923, all’età di 67 anni, con brevi ma ricorrenti gengivorragie, alle quali egli non diede particolare importanza, fino a quando non notò in corrispondenza della sede dell’emorragia una tumefazione che dopo un po’ cominciò ad estendersi verso il palato. Decise allora di consultare il prof. Hajek, direttore della Clinica Rinolaringoiatrica dell’Università di Vienna, il quale gli diagnosticò una lesione leucoplasica dovuta al fumo (egli era un forte fumatore di sigari), consigliandone l’asportazione chirurgica che fu effettuata qualche giorno dopo. L’esame istologico rivelò la natura maligna della lesione, risultata in un carcinoma. Quattro mesi dopo, la regione precedentemente trattata chirurgicamente fu interessata da un’ulcera del palato duro che si estendeva ai tessuti molli della guancia, alla mucosa mandibolare adiacente fino a lambire il margine linguale. Alla luce di questo nuovo quadro, si predispose un intervento radicale che fu affidato al prof. Pichhler di Vienna, uno dei più insigni specialisti europei di chirurgia orale. Una recidiva a due mesi, richiese anche l’asportazione di parte del palato molle. Dopo questo importante intervento, cominciarono 16 anni di disagi e sofferenze, costellati dal ripetersi della malattia e di innumerevoli altre operazioni effettuate chirurgicamente. In questo lungo calvario durante il quale fu sottoposto complessivamente a ben trentatré interventi di chirurgia orale, egli ebbe comunque sempre la forza di seguire il suo lavoro scientifico e di diffondere il suo pensiero, anche dall’esilio inglese cui fu costretto dopo l’invasione dell’Austria da parte delle truppe germaniche nel 1938. Nel corso degli ultimi anni, le sue condizioni generali di salute peggiorarono. Nonostante tutto, seppur a ritmo ridotto, egli continuava a visitare i pazienti avvalendosi della collaborazione della figlia Anna, data la sua ormai grave dislalia, ai limiti della incomunicabilità verbale e una ipoacusia destra. L’ipoacusia lo costrinse tra l’altro a cambiare la posizione dell’arcinoto lettino per poter prestare l’orecchio sano ai suoi pazienti. Gli era venuto a mancare progressivamente un fluido linguaggio ed un attento ascolto. Un anno prima della morte, nel 1938, al suo arrivo a Londra aveva concesso un’intervista alla BBC. L’intervista si era conclusa con uno sguardo alla strada ancora da percorrere per la scienza neonata: “La lotta non è ancora terminata”, affermava. Il suo attaccamento estenuante nei confronti della madre Amalie Nathanson, gli aveva fatto dire, dopo la morte di lei nel 1930, che solo ora e certamente non prima anche lui avrebbe potuto morire. Il 21 settembre 1939, Freud consumato fra atroci sofferenze sul letto di morte mormorò al proprio medico di fiducia: “Ora non è più che tortura, non ha senso” e poco dopo ancora: “Ne parli con Anna, e se lei pensa che sia giusto, facciamola finita“. Freud si affidò al sentimento della figlia. Morì due giorni dopo, all’età di 83 anni il 23 settembre 1939, senza risvegliarsi dal sonno tranquillo che la morfina gli aveva provocato.

Vorremmo concludere la nostra biografia con questo eccezionale pensiero di Thomas Mann: “anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all’umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono né negare, né occultare (…) e se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud.”

fonte http://www.sioechcf.it/?do=10

http://www.liceoberchet.it/netday00/scienza/freud/biografia1.htm