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Roma: Aggredisce Il Rianimatore Che Gli Comunicava La Morte Della Figlia Della Compagna
Negli ultimi anni sono amentate le aggressioni verso Medici che poi si è scoperto stavano facendo solo il proprio lavoro. L’ ultima Notizia viene da Roma dal San Filippo Neri dove qualche giorno fa è stato aggredito brutalmente un Rianimatore. Ho letto tutto ciò che la stampa ha pubblicato sull’argomento, ed eccone qui di seguito un breve riassunto, confermato dai tanti articoli sull’aggressione…
I Fatti:
“Alle 19 circa del 19 Luglio 2011, la piccola paziente (11 anni) perde i sensi dopo essere uscita dalla piscina. La madre e il compagno si precipitano per soccorrerla ma la bambina, forse vittima di una congestione, è cianotica. I minuti passano in un lampo. Viene chiamata l’ ambulanza, un medico tenta la rianimazione con il defibrillatore, ma le condizioni della bimba sono disperate. L’ ospedale più vicino è il San Filippo Neri, l’ ambulanza con la bimba intubata ci arriva in pochi minuti. «La paziente – spiegano dall’ azienda ospedaliera – è giunta alle 19.18 priva di coscienza in arresto cardiorespiratorio. Nella sala emergenza del pronto soccorso c’ erano il medico d’ urgenza e l’ anestesista rianimatore con tutta l’ équipe, preavvisati dal 118. Per un’ ora e 50 minuti, senza interruzioni, sono state praticate tutte le manovre rianimatorie, già iniziate dal 118, secondo i protocolli, ma tutti i tentativi sono stati vani». Fuori, in corridoio, ci sono la madre – che ha altre due figlie – e il compagno. Piangono, si disperano. Il medico, accompagnato da due colleghi e da una guardia giurata, si avvicina per comunicare loro che la piccola non ce più. Una notizia terribile, la peggiore di tutte, data – secondo la direzione dell’ Azienda Ospedaliera – «secondo i canoni etici». Ma in casi come questi i «canoni» si scontrano con il dolore e con reazioni imprevedibili. E così il patrigno perde il controllo. Si avvicina, chiede spiegazioni. «Sei tu che cercavi di rianimarla?», chiede, ma non aspetta la risposta del medico: gli assesta una gomitata al volto, gli spacca un labbro, e quando il dottore si affloscia sul pavimento, l’ uomo lo prende a calci. E non la smette più. Alla scena assistono i colleghi del medico e il vigilante. Poi arriva la polizia. Trauma cranico e ferite al volto: il dottore ne avrà per 20 giorni.” (tratto da Quotidiano Sanità, l’articolo tra i tanti più aderente ai fatti accaduti)
Che il rapporto tra Medici ed Utenza si stia rapidamente deteriorando sempre più, è sotto gli occhi di tutti, ma quello che colpisce di fronte ad un fatto del genere, è che il pensiero e la “pietas” che si deve avere per quel povero corpo di 11 anni su cui sono certo i medici si sono accaniti per poterla riportare in vita senza riuscirvi, viene “macchiato” da un fatto violento che molti quotidiani riportano come assolutamente gratuito e prolungato dopo la prima gomitata, forse comprensibile, anche se anch’essa, non giustificabile. L’accanimento con cui il parente si è avventato sul medico dimostra la frattura, che sta divenendo oramai insanabile, tra pazienti e loro familiari da una parte, e le strutture che li accolgono; là dove invece un atto di comprensione del fenomeno, un venirsi incontro reciproco, a cui si dovrebbe formare il cittadino insieme al medico, è sempre la maniera migliore per evitare inutili atti di violenza verso chi per quasi due ore ha tentato di riportare in vita una povera bimba ormai morta, a cui va il nostro primo pensiero come anche al dolore della sua famiglia. Ma altrettanto vicino ed appassionato, da parte nostra, è il pensiero che va al nostro collega rianimatore, così immotivatamente aggredito, ed a cui va tutta la nostra solidarietà. I Rianimatori la cui preparazione e professionalità in tutta italia ci è riconosciuta da molti, non stanno lì per uccidere la gente come forse credeva il patrigno, stanno lì per cercare nei limiti del possibile, delle loro competenze non onnipotenti, di salvare il paziente che arriva tra le loro braccia. Sono formati per anni ed anni per far questo. Forse, e non mi sembra eccessivo parlarne, si dovrebbe fare come in America o nei paesi di lingua anglosassone, dove alle manovre di Rianimazione iniziano a far presenziare anche i parenti. Basta cercare in rete, e ci si accorgerà che cominciano a comparire decine di lavori sull’argomento, così da tentare di eliminare il Gap di estraneità e diffidenza tra chi è curato, la sua famiglia, e chi cura.
Un pensiero sentito alla povera piccola paziente, alla sua famiglia che ne piange la perdita, ed un altrettanto sentito saluto al nostro collega Rianimatore con l’augurio di riprendersi presto e tornare a fare il suo essenziale ed insostituibile lavoro.
Savas
Approfondimenti:
La Presenza Dei Familiari Durante La Rianimazione Cardio-Polmonare E Altre Manovre Invasive
Gabriele Prati 1, Massimo Monti 2
1 Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, 2 Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Bologna -Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia -Supplemento B, Psicologia © PI-ME, Pavia 2010 2010; -Vol. 32, N. 3: B43-B49, http://gimle.fsm.it.