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Vivere 120-130 Anni è una Minaccia per l’Umanità del XXI secolo?

Le Idee

Vivere 120-130 anni è una minaccia per l’umanità del XXI secolo ?


Sembra che l’aumento della durata della vita oggi, auspicato e desiderato da molti, esiterà in una fragilità mentale che diverrà una grave minaccia per l’umanità del nostro futuro prossimo venturo.
A questo proposito vi riportiamo un frammento di un articolo,  uscito sul Corriere della Sera on line del 29 gennaio 2012 dal titolo: “Vivere 120 anni in pessima salute”

Savas

dal film: Il Ritratto di Dorian Gray

“La vita si è allungata per l’allungamento della vecchiaia e non del periodo centrale dell’esi-stenza. L’invecchiamento del cervello si ma- nifesta col declino delle attività cognitive. Quando il cervello invecchia male o troppo in fretta, la vita è compromessa, anche se il corpo é in buone condizioni. Lunghezza e significato della vita sono cose diverse. Alla nascita il cervello umano pesa 400 grammi, a sviluppo completo, a ventidue anni, 1350-1500 grammi. Ciò è dovuto non tanto all’aumento del numero di neuroni, quanto piuttosto del numero e della complessità delle diramazioni dei neuroni (assoni e dendriti) e delle sinapsi, stipate, assieme con i neuroni e con la glia, nella corteccia cerebrale. Il ritmo massimo dell’au- mento del volume e della complessità del cervello avviene fra il settimo e il dodicesimo anno, periodo in cui la capacità di apprendere è all’apice. A quella età è facile, ad esempio, imparare lingue e dialetti. La regressione inizia non appena lo sviluppo del cervello è completo, vale a dire a ventidue anni. L’energia di cui il cervello dispone (circa il 30% di quella del corpo) non è in grado di mantenere in vita una massa densa, complicata e ricchissima di meccanismi perennemente in azione. I segni dell’in-vecchiamento del cervello si notano quando la densità della sinapsi è regredita del 40%: a quel punto i neuroni non sono più sufficientemente interconnessi. La rarefazione delle sinapsi si annuncia con la diminuzione della memoria e prosegue con l’indebolimento di altre funzioni mentali. Non si tratta di una malattia in senso stretto, ma dell’invecchia-mento del cervello, che, per la diversa traccia genetica della velocità di regressione di sinapsi e di neuroni e per le circostanze della vita, varia da persona a persona. Un modesto calo della memoria, l’indebolimento della capacità di imparare cose nuove e di concentrarsi a lungo non sono segni di demenza, ma di un modesto disturbo cognitivo. Di demenza si parla quando la perdita delle capacità cognitive e intellettuali rende le persone diverse da com’erano prima. Se il danno cognitivo è avanzato, si parla di demenza senile primaria che, nelle forme estreme, non si distingue dalla malattia d’Alzheimer. I disturbi sorgono e si aggravano in maniera spesso subdola, alla lunga di anni. Ne sono colpiti anche cervelli formidabili, come quello d’Immanuel Kant, il cui declino iniziò con la diminuzione della memoria e con la perdita della cognizione del tempo, e proseguì fino all’incapacità di riconoscere persone familiari e alla ripetizione ossessiva di movimenti senza senso… L’invecchiamento è inarrestabile. Quasi tutti coloro che dovessero raggiungere, come oggi si profetizza con giubilo, i 120-130 anni sarebbero dementi, e spesso anche ciechi e sordi.
L’aumento della durata della vita rende la fragilità mentale una delle più gravi minacce all’umanità del XXI secolo.”

Fonti:
Dal capitolo «La coscienza del cervello che s’invecchia» del libro di Arnaldo Benini «La coscienza imperfetta. Le neuroscienze e il significato della vita» Garzanti, Milano 2012.

Per leggere l’Intero articolo Uscito su Corriere della Sera on line il 27 Gennaio 2012 Clicca qui