Archivio mensile:gennaio 2011

L’ Errore Medico: Si è Fatto Tutto il Possibile, Ma è Davvero Così ?

Books: recensione

a cura di S. Vasta

Si è Fatto Tutto il Possibile

Marco Venturino

2008 Mondadori

collana Omnibus

Prezzo: 18.00 €

La trama

Marco Venturino, classe 1957 è Direttore di divisione di Anestesia e Rianimazione all'IEO, Istituto Europeo dei Tumori. “Si è fatto tutto il Possibile”, è' il suo secondo romanzo, dopo “Cosa sognano i Pesci Rossi”, edito sempre da Mondadori.

È mattina presto. Un uomo è chiuso nel suo studio di primario, in ospedale. E ricorda. Quell’uomo è Mario Valenti, anestesista, docente universitario e professionista navigato, uno che la vita l’ha “sempre presa in pugno” e tenuta ben salda. Nella solitudine della sua stanza, quell’uomo ricostruisce l’opprimente cadenza degli eventi che l’hanno portato fin lì. La sua vita, a un certo punto, sembra essersi trasformata in un domino le cui tessere si abbattono una dopo l’altra. A mettere in moto la reazione a catena è stato un tragico errore in sala operatoria. Da allora, il corso della sua esistenza risulta ineluttabilmente alterato. Rimorsi e paura di affrontare le conseguenze dei propri gesti, sensi di colpa ed autoindulgenza, recriminazioni e desiderio di rivalsa. E il peso che si è ritrovato addosso lentamente lo schiaccia.

La Recensione

Cronaca di un “inciampo” nel giardino di cristallo del curare pazienti

a cura di Salvatore Vasta

“Oggi che so e finalmente vedo bene dentro quel pozzo nero che, se volete, posso chiamare la mia anima, ho la certezza che tutto quel desiderio di guarire e vincere la signora con la falce, non era di sicuro un irrefrenabile amore per il mio prossimo ma un incontenibile desiderio di potere”.

Questa amara e critica riflessione di Mario Valenti, primario anestesista, protagonista del secondo libro di M. Venturino, “Si è fatto tutto il possibile” (Mondadori), è il fulcro attorno al quale ruota tutta la narrazione. Che prende spunto da un “errore terapeutico” commesso dal protagonista, di fatto un appiglio narrativo, quasi un pretesto attraverso il quale mettere a nudo, non un caso di malasanità, ma, in un’analisi lucida e spietata, la crisi del sistema “uomo” all’interno dell’agire medico, quando questi, perduto il vero obbiettivo della propria professione, cioè il curare pazienti, si avventura nella spirale potere-denarosuccesso-fama-potere, che la propria ambizione gli cuce addosso come una catena da cui non può sfuggire. Ed è proprio questo ciò che rende forte e interessante il libro. Racconto della crisi di un uomo di successo che, preso come lui stesso dice da congressi, relazioni politiche, articoli, luci della ribalta e denaro, convinto di aver costruito un sistema inoppugnabile che gli permetterà di salire e salire verso un “olimpo” di cui l’ambizione non fa vedere una fine o l’approdo, si trova, per una “banale” distrazione, tutta la vita crollata addosso. Un errore che è quello che ognuno di noi medici dovrebbe augurarsi non gli accada mai, la morte di un paziente per propria negligenza, anzi, potremmo dire, per propria distrazione, dato che la mente del protagonista al momento dell’errore, non era presa dall’atto terapeutico che il protagonista stava compiendo, ma appunto dalla corsa ad ostacoli per il proprio successo. Ma basterà questo errore, di cui la vita gli chiederà spietatamente il conto, a fargli crollare addosso tutta la realtà d’intorno, in un susseguirsi di colpi di scena nei quali alla perdita della famiglia, seguirà la perdita della fiducia dei colleghi ed amici e l’insorgere di un profondo ed ossessivo senso di colpa che lo porterà a chiedersi se veramente il dire come si dice spesso “si è fatto tutto il possibile” sia una verità o non piuttosto un paravento dietro cui nascondere, a volte, le manchevolezze nell’agire di coloro che si “muovono” dentro uno tra i più delicati giardini di cristallo che è il curare pazienti. Marco Venturino, al suo secondo romanzo, scrive con magistrale ed introspettiva acuzie una storia, tutta in prima persona, che mostra come per raggiungere la gloria, il successo, la ribalta della cronaca, un professionista possa perdere di vista, la strada dell’agire terapeutico, responsabilmente per la vita che ha tra le mani, per imboccare una strada “altra”, tanto “granitica” quanto insospettatamente fragile, tanto da venir giù in un attimo, quasi fosse un castello di carta, in seguito ad un “inciampo”. Che porterà il protagonista a ritrovare tra le pieghe della propria oscurità, l’unica via d’uscita da un senso di colpa profondo per l’errore commesso, in una corsa per il potere, svuotata di ogni umanità e d’aggancio relazionale con il proprio mondo degli affetti. Un libro imperdibile come il suo primo, “Cosa sognano i pesci rossi” (Mondadori), per tutti i medici ma sopratutto per tutti coloro che all’emergenza hanno dedicato la loro esistenza.

Per Approfondimenti: Clicca qui

Per la recensione del precedente Libro dell’autore, il suo primo romanzo:

Cosa sognano i pesci rossi

Marco Venturino

Mondadori

e per L’Intervista all’autore: Clicca qui

Per Ulteriori approfondimenti:

CRONACA DELLA SESSIONE “COSA SOGNANO I PESCI ROSSI” DEL 60° CONGRESSO SIAARTI TENUTOSI A BASTIA UMBRA DAL 10 AL 13 OTTOBRE 2006

dal nostro inviato

dr. ssa M. Francesca Sapuppo

Clicca qui

Fotografia e Poesia

Io non sono solo quello che vedi

Gipsies, J.Koudelka

Io non sono solo quello che vedi, quello che conosci
non sono solo quello che dovresti imparare.
Devo a qualcuno ogni brandello della mia carne,
se ti tocco con la punta del dito
ti toccano milioni di persone,
se ti parla una mia parola
ti parlano milioni di persone –
riconoscerai gli altri corpi che danno forma al mio?
ritroverai le mie orme tra miriadi di altre impronte?
distinguerai i miei gesti nella marea della folla?
Io sono anche quello che fui e che più non sono –
le mie cellule morte, le mie azioni
morte, i pensieri morti
di notte ritornano a dissetarsi nel mio sangue.
Io sono quello che non sono ancora –
dentro di me martella l’impalcatura del futuro.
Sono quello che devo diventare –
intorno a me gli amici esigono, i nemici vietano.
Non cercarmi altrove
cercami soltanto qui
soltanto in me.

Titos PatriKios
Da Fine dell’estate
1953-1954 VI

Omaggio a Wilfred Bion: per una Teoria Gruppale della Mente

Omaggio a Wilfred Bion: per una teoria gruppale della mente

N.d.R. Questa nota vuole essere un timidissimo omaggio ad uno tra i più grandi pensatori del ‘900 colui che sviluppo’ la Teoria Freudiana in maniera originale e che ha aperto orizzonti inimmaginabili. Dovendo occuparmi nel mio lavoro di gruppi sanitari, e non essendo un analista nè volendo esserlo ma avendo letto molte cose della produzione Bioniana spesso quelle più abbordabili che quelle tecniche, ho voluto con questa nota introdurvelo attraverso le parole della figlia e di appunti presi qui e là. Rendendola una nota un pò per tutti voi.
S. Vasta

L’apporto di Bion alla psicoanalisi
di Parthenope Bion Talamo

Quando prima ho detto dell’idea di Bion che l’essere umano è una sorta di palinsesto mi riferivo proprio a questa sua idea dell’individuo come un gruppo che si può quasi srotolare; non so se avete presenti i quadri di Klimt con i vasi cinesi o coreani srotolati come sfondo del quadro o come vestito della donna, l’idea di Bion di un individuo è un po’ di questo tipo qua, che se tu guardi dentro l’individuo vedrai un intero gruppo di persone.
Questo è un concetto molto interessante che ha, a mio avviso, delle radici molto lunghe anche nella cultura inglese. Direi che la forma letteraria o artistica che più di altre caratterizza la cultura inglese è proprio il teatro, la poesia e il teatro che nella figura di Shakespeare comunque si coniugano assieme. Tuttora il teatro in Inghilterra è una forma estremamente importante, un veicolo estremamente importante di comunicazione sociale. Negli anni ’50, probabilmente adesso la situazione non è cosi rosea, a Londra c’erano 500 teatri. Molti movimenti sociali e pacifisti, per esempio hanno avuto importante voce teatrale: basti pensare a … (incomprensibile nella registrazione il cognome dell’autore) per quanto riguarda tutta la politica irlandese. Per noi il teatro è significativo come forma di protesta sociale, denuncia sociale, descrizione della società. Credo che Bion abbia preso molto l’idea dell’individuo come gruppo da questa idea di cose che si possono vedere in un palcoscenico, cioè persone che si parlano tra loro e si forma un discorso coerente tra le varie voci.
In Inghilterra nel ’300 per esempio si fecero, come in molti paesi europei, delle recite il giorno di Corpus Cristi, delle storie bibliche. Questo però in Inghilterra ha avuto uno sviluppo che in altri paesi europei, che io sappia, non ha avuto; non si recitavano le storie bibliche ma si recitavano anche drammi, detti le moralità e misteri. Le moralità sono molto interessanti perché i personaggi in scena sono personaggi come la temperanza, l’ira, il pudore cioè qualità mentali a cui si da voce e che si fanno interagire tra di loro. Ora credo che Bion abbia avuto molto questo tipo di cosa anche sullo sfondo della mente scrivendo “Memoria del futuro”, che è un libro di 400-500 pagine di testo di cui i primi sette capitoli sono apparentemente di tipo narrativo. Tutti gli altri sono a forma di dialogo, dialoghi in alcune parti in cui i personaggi sono chiariti, altri in cui non si sa chi è che sta parlando ma che comunque è dialogato. Questo per me è qualcosa che Bion ha fatto con varie intenzioni non soltanto una; però una di queste intenzioni era proprio di far presente come un solo individuo in realtà parla con una molteplicità di voci, di cui se ne possono sentire poche contemporaneamente ma quasi sempre più di una.

Il dolore
Concetto centrale nella teoresi bioniana è quello del dolore. Per Bion il dolore e la crescita psichica sono inseparabili.
Da un lato, tale questione è intimamente collegata alle riflessioni dell’autore sulla memoria e sul desiderio: egli infatti dichiara espressamente che l’astinenza dalla memoria e dal desiderio risulta essere una “disciplina” disturbante, comportante “pericoli reali” e in questo senso dolorosa. Dall’altro si ricollega al tema della conoscenza e del cambiamento, che Bion, a ragione, definisce “cambiamento catastrofico”.
Infatti, ogni volta che, in un discorso circolare, una nuova conoscenza acquisita conduce a uno spostamento del vertice dal quale osservare la realtà (tanto esterna quanto interna) e la sperimentazione di un nuovo vertice di osservazione permette la presa di coscienza di nuovi fatti (nel senso in cui il termine “fatto”è inteso in Bion, si ha la frammentazione dei “vecchi” punti di riferimento cognitivi ed emotivi per giungere, ammesso che il corso degli eventi lo permetta, a una nuova ristrutturazione di campo.

La teoria gruppale della mente
“Non si può tralasciare … come in qualche modo la ricerca di Bion si
apra e si concluda … in una visione gruppale. Tanto da permetterci di concludere che l’originalità specifica di Bion è proprio rappresentata da una visione della mente caratterizzata da un funzionamento gruppale” (Viola, 1996, p. 70).

Il desiderio
Il discorso di Bion sulla memoria è complementare a quanto egli dice a proposito del desiderio: come la prima rimanda al passato, il secondo guarda al futuro ed entrambi distolgono dall’unica cosa che ha effettivo interesse, ovvero l’hic et nunc

CENNI BIOGRAFICI
Trascorse l’infanzia in India e di quel tempo sentì sempre la nostalgia, come scrive in “La Lunga Attesa”, un’autobiografia dei primi vent’anni; all’età di otto anni fu trasferito in Inghilterra per entrare in college. Dopo la scuola superiore, si arruolò come ufficiale carrista, partecipò ai combattimenti nelle Fiandre durante l’ultimo anno della Prima guerra mondiale meritandovi una decorazione; l’esperienza di questo periodo segnò la sua vita e il suo pensiero.
Dopo la guerra, conseguì la Laurea in storia all’Università di Oxford, studiò quindi medicina all’Università di Londra e, conseguito il titolo accademico, iniziò ad interessarsi di psicoterapia. Dal 1932 frequentò la Tavistock Clinic, e nel 1938, iniziò, con John Rickman, un’analisi che fu interrotta dallo scoppio della Seconda guerra mondiale e abbandonata quando i due colleghi si trovarono a lavorare insieme all’ospedale militare di Northfield; in tale contesto Bion cominciò a sviluppare la sua teorizzazione sui gruppi, che avrebbe trovato una formulazione definitiva in “Experiences in Groups” (1961). Nel 1945 intraprese un’analisi con Melanie Klein. In tale periodo divenne una figura di spicco nella Società Psicoanalitica Britannica, ricoprendo le cariche di Direttore della Clinica Psicoanalitica londinese dal 1956 al 1962 e di Presidente della Società dal 1962 al 1965. Si trasferì a Los Angeles nel 1968 e tornò in Inghilterra pochi mesi prima di morire nel novembre del 1979.

Per chi volesse approfonndire la Bibliografia e i link su W. Bion
http://it.wikipedia.org/wiki/Wilfred_Bion

http://en.wikipedia.org/wiki/Wilfred_Bion

Giornata della Memoria

Eccoci ! : in ebraico “Himmèni”, nascita di una nuova consistenza

Partigiani ebrei del ghetto di Vilna, in Lituania.

Himmèni: in ebraico nascita di una nuova consistenza: Eccoci!
Mir zainen do (Noi siamo qui, canto yiddish dei partigiani del ghetto di Vilna in Lituania): in ebraico himmèni: Eccoci ! Come Parola di resistenza.
La parola con cui risponde Abramo quando sul monte Morià, Iod/Dio lo chiamerà per il sacrificio del figlio.
“E’ Buono a sapersi che anche Iod/Dio può dire il suo himmèni alla creatura che lo chiama. Ce lo annuncia Isaia (58, 9): “Allora Chiamerai e Iod risponderà. Strillerai e dirà:”Eccomi”.
Eccomi è voce dei momenti di verità, quando si è chiamati a rispondere di sè.
E’ il passo avanti. Lo scatto che fa uscire dai ranghi e porta ad uno sbaraglio.
E’ la più bella parola che si possa pronunciare in quei momenti, un dichiararsi pronti, prima di usarla bisognerebbe allenarsi a pensarla più spesso.
Buona fortuna a chi dovrà pronunciare “oggi” il suo difficile “eccomi”.

(Eccomi! , tratto dal libro “Alzaia”, di Erri De Luca, Feltrinelli)


Cronache dal dopo DAT (Divisione acuti trapassanti). Memorie dal futuro, 2119, XXII secolo.

Racconti a Margine

Il Bello della Vita

da

Cronache dal dopo DAT (Divisione acuti trapassanti).

Memorie dal Futuro, 2119, XXII secolo.

del Prof. dr. D. El ‘Fnà

Neurotrapiantologo

Luglio 2009

RACCONTO FUTURIBILE

Cronache del XXII secolo

Nel XXI secolo la scienza della salute e della Qualità di Vita (QdV) erano ancora in mano ai laici e non agli ordini religiosi. Ma, ben presto, con l’impulso dato alla Scienza della sopravvivenza, con la Dichiarazione Universale sulla Vita come bene non negoziabile, e con gli studi che diedero un valore nettamente negativo, per la vita stessa, alla consapevolezza di essere “entità sacre con una fine”, si imboccò la strada del “non morire”, nel senso del superare lo scoglio della “non vita” con “più vita”. Lo stato aveva preso in carico l’esistere come religiosa reliquia da preservare, da non far “trapassare”, da far vivere il più a lungo possibile. I cittadini in cambio di un futuro interminabile di benessere, affidavano la propria fine all’entità stato stessa. Le strade che si intrapresero, dettero grande slancio all’intelligenza artificiale (AI), alla psiconeurofisiologia, alla genetica, alla robotica, alla cybernetica, alle nanotecnologie, alla musicoterapia, agli innesti neurali. Tali metodiche furono applicate sopratutto a quel periodo prima della fine che era chiamato dai nostri antenati “il volo dell’angelo” o il “buon volo”, riuscendo a recuperare da quell’ultimo anelito di vita la vita stessa. Fu un trionfo verso la semi-immortalità. La vita si allungò, ed agli inizi del XXII secolo si viveva sino a 250 anni e, dati i buoni risultati futuri annunciati dalla scienza della vetrificazione crioconservante, per molti, la parola “fine” fu sostituita con lo slogan “sospesi per rinascere”, in gergo popolare “Frizzati”.
La caduta aveva ora una sua propria dignità. Rallentare la perdita inarrestabile di anelito vitale era ormai invertire o controllare ed a volte prolungare l’esito dell’”ultimo volo”, decidere i suoi tempi, manipolare una psicosi da certezza della fine, dare una speranza di rinascita futura.
La cura delle gravi malattie terminali, o meglio, la ripresa (rimodulazione) dalla “Caduta dell’anelito vitale” fu affidata agli ordini religiosi, che fecero, della sopravvivenza e del trapasso sospeso, il loro punto di forza. Continua qui

Timeoutintensiva.it, N°11/12, Dicembre 2009