Il 7 Gennaio 2014 è uscito un bell’articolo su Dottprof.com in cui ci si chiedeva se le sei parole da dire ad un paziente più pericolose per la medicina basata sulle prove sono: “non abbiamo evidenze per sostenere che”. Sono pericolose perché ambigue, dal momento che l’assenza di prove può significare sia che non sono state trovate sia che non sono state cercate. ”
L’articolo continuava poi chiedendosi perché erano pericolose e cosa si sarebbe dovuto fare per sostituire questa frase:
“Sono pericolose perché possono indurre sia i medici, sia i pazienti a perdere fiducia nella medicina ancorata ai risultati della ricerca: sono talmente tante le domande ancora senza risposta che, se il personale sanitario dovesse basare le proprie decisioni solo su prove solide, dovrebbe astenersi dallo scegliere per buona parte della giornata. Che vogliamo fare, dunque, di questo mantra della EBM? Facile: sostituire l’espressione “non abbiamo evidenze per sostenere che” con una a scelta tra le seguenti: • le prove di cui disponiamo non ci danno certezze e, tra le diverse opzioni, non sappiamo quale sia la migliore; • le prove che abbiamo non sono conclusive, ma la mia esperienza (o altre informazioni di cui dispongo) suggeriscono di prendere questa decisione; • a giudicare dalle ricerche condotte, questa opzione è inefficace; • è una questione complicata, perché esistono prove di efficacia in un tipo di paziente e non in un altro. R. Scott Braithwaite, della New York University School of Medicine, è convinto che, per il bene della stessa EBM, sarebbe il caso di abolire le sei parole pericolose ed essere più precisi. Di sicuro malati e familiari capirebbero meglio e sarebbero più coinvolti.“
Si, crediamo che la massima chiarezzza e precisione non possano che avvicinare pazienti, familiari e medici, coinvolgendo tutti in una partecipazione attiva al tentativo di guarigione.
Come immaginiamo una tragedia ? Come rappresentarla con un mezzo immediato come la fotografia ? Quali sono le fantasie che si rincorrono nella nostra mente, quando cerchiamo di immaginare un paese colpito da un disastro, quello di Bhopal nel 1984, che sino ad ora ha fatto 20.000 vittime ?
A queste domande rispondono le fotografie di un fotografo Magnum, Raghu Rai, massimo esponente della fotografia indiana, i cui scatti sembrano dare una risposta esaustiva a queste domande.
“Basta guardare le sue foto sulla tragedia di Bhopal, nello stato indiano del Madhya Pradesh, dove, il 2 dicembre 1984, alle prime ore del mattino si scatena uno tra i più drammatici disastri chimici della storia: quaranta tonnellate di gas letali fuoriescono dalla fabbrica di pesticidi della Union Carbide. La mattina dopo l’incidente Raghu Rai si reca sul posto e realizza un reportage in bianconero sulle vittime della tragedia. Le immagini che scatta sono sconcertanti, piene di paura e morte. Al terzo giorno dall’incidente ottomila persone erano decedute per l’esposizione dei gas. Oggi, si calcola siano ventimila le vittime innocenti di questa tragedia umana e più di mezzo milione di sopravvissuti vivono in condizioni di salute precarie a causa degli effetti della nube tossica. Raghu Rai da allora segue questa vicenda. Nel 2003, a diciotto anni dalla tragedia, per conto Greenpeace torna su quei territori dove la catastrofe non ha smesso di lasciare tracce tossiche, dove ancora si beve l’acqua irrimediabilmente inquinata e ci si ammala. (1) ”
La Cronaca è Nota. Tania Priola, 18 anni, del quartiere Brancaccio di Palermo, in Sicilia, per settimane non aveva curato un ascesso dentale. Un dolore che pensava di poter sopportare, trascurando la patologia, forse anche per motivi economici. Ma che alla fine le è costato la vita. E’ morta venerdì scorso all’Ospedale Civico del capoluogo siciliano. L’ascesso era degenerato in una “fascite“, un’infezione che parte dalla bocca per diffondersi fino al collo. In seguito alla Fascite si era instaurata una Sepsi. I medici della 2a Rianimazione del Civico di Palermo hanno tentato di tutto per salvare la ragazza già arrivata alla loro osservazione in condizioni gravi. La procura di Palermo ha aperto un’inchiesta sul decesso della giovane. Sin qui la cronaca derivata dalla lettura dei giornali ma che sarà la magistratura a dirimere.
Noi vorremmo tentare di chiarire al pubblico la natura di questa patologia insidiosa che si chiama Sepsi e di cui è morta la giovane, per sensibilizzare su una patologia poco conosciuta che fa tanti morti ogni giorno.
Il termine sepsi (dal greco σήψις, “sēpsis”, putrefazione) o setticemia indica una malattia sistemica, la risposta dell’organismo (sotto forma di SIRS, Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica) all’invasione di tessuti, fluidi o cavità corporee normalmente sterili da parte di microrganismi patogeni o potenzialmente patogeni. Le complesse interazioni tra il microrganismo infettante, il sistema immunitario dell’ospite, le risposte infiammatorie e la coagulazione influenzano l’esito nella sepsi.
La sepsi, che può derivare da una malattia infettiva mal curata anche in soggetto sano, si instaura prevalentemente in pazienti critici, immunocompromessi e anziani. Si stima che ogni anno nel mondo circa 20 milioni di pazienti ne vengano colpiti. Negli Stati Uniti i nuovi casi di sepsi sono stimati essere 750.000 ogni anno, con un’incidenza che è probabilmente destinata ad aumentare dell’1,5% all’anno per l’invecchiamento della popolazione. L’incidenza nell’Unione Europea è di circa 90 casi di sepsi per 100.000 abitanti.
Sempre negli USA riguarda l’ 1%-2% di tutti i ricoveri e fino al 25% dei letti disponibili nelle Unità di Terapia Intensiva (ICU), rappresentando la decima più comune causa di morte, secondo i dati del 2000 dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (“Centers for Disease Control and Prevention”). A causa della sua natura particolarmente aggressiva e multifattoriale, la sepsi conduce rapidamente a morte e costituisce la principale causa di decesso nelle terapie intensive non coronariche di tutto il mondo, con tassi di letalità che vanno dal 20% per la sepsi, al 40% per la sepsi grave, ad oltre il 60% per lo shock settico: cumulativamente, nel mondo muoiono per sepsi circa 1400 persone al giorno.
Diagnosi e trattamento precoce sono azioni essenziali, ma si deve intervenire anche sulla prevenzione, assicurando il controllo delle infezioni mediante l’applicazione di linee guida riguardanti alcune procedure invasive (inserimento di cateteri venosi, tecniche di ventilazione artificiale ecc.). Anche un controllo stringente dei pazienti durante il periodo post-operatorio con un continuo monitoraggio clinico diventa un’ intervento di fondamentale importanza. Gli eventi infettivi che poi evolvono in sepsi possono essere neutralizzzati in modo significativo mediante questi e altri provvedimenti. E’ inoltre importante sensibilizzare l’opinione pubblica su questa sindrome insidiosa ma non abbastanza conosciuta nella sua gravità e che spesso viene considerata una complicanza ineluttabile di alcune malattie. Sensibilizzare i cittadini significa maggiore attenzione sul problema da parte delle istituzioni. In particolare dobbiamo lavorare sulla prevenzione della sepsi, controllando il rischio di infezioni ospedaliere che possono causarla, facilitare la sua diagnosi precoce, gestire la terapia avvalendosi anche di altre competenze specialistiche. E’ necessario a tal fine intensificare la formazione/informazione degli operatori, favorire un approccio multispecialistico e multiprofessionale, vigilare sulla corretta gestione della diagnosi e delle terapie, verificando la corretta adozione delle linee guida non solo nelle terapie intensive ma anche in altri reparti. E’ importante inoltre misurare la sua diffusione mediante il calcolo di specifici indicatori ed adottando sistemi di monitoraggio clinico in grado di identificare precocemente la sindrome. Uno dei problemi da affrontare per una gestione adeguata del paziente settico è il ritardo nell’assegnazione del trattamento corretto che fa seguito alla diagnosi. Si è dunque recentemente creato un grande progetto di collaborazione internazionale per far conoscere la sepsi e per migliorare l’ outcome del paziente settico, nominato “Surviving Sepsis Campaign”. Tale organismo ha già pubblicato un articolo di revisione (review) basato sull’evidenza: sono delle linee guida sulle strategie per la gestione della sepsi grave e dello shock settico, con l’idea di pubblicare una serie completa di linee guida nei prossimi anni. L’applicazione in Italia di tali linee guida è in studio in alcuni reparti di Medicina d’Urgenza e di Terapia Intensiva; una delle più ampie casistiche europee è quella raccolta all’Ospedale delle Molinette di Torino. Ogni anno, il 13 Settembre, si festeggia la Giornata Mondiale di Sensibilizzazione sulla Sepsi.
A margine del Convegno “Uso Razionale Dei Farmaci Per I Bambini E I Loro Genitori: Un Obiettivo Dinamico E Strategico”, organizzato in occasione dei 50 anni dell’Istituto “Mario Negri” di Milano e i 25 anni del suo Laboratorio per la Salute materno infantile, vi proponiamo la video intervista con Maurizio Bonati, Responsabile del Laboratorio per la Salute materno infantile, Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
E’ stato pubblicato un interessante articolo su “Va Pensiero n° 593” a cura del Pensiero Scientifico Editore nel quale ci si chiede, dato che l’Inflazione Diagnostica è giunta ad un punto tale da creare sempre nuovi malati e malattie specie in Psichiatria, che fine abbiano fatto le persone normali.
L’articolo è la traduzione di un’intervista fatta ad Allen Frances, Professor Emeritus at Duke University and former Chair of its Department of Psychiatry, Chair of the DSM IV Task Force, che lungi dall’essere un antipsichiatra, è uno psichiatra americano che ha guidato la task force per la stesura del DSM-4 per poi dimettersi dall’incarico in prossimità dell’aggiornamento successivo, il DSM-5. L’intervista pubblicata, ripercorre con lui quei “cambiamenti di paradigma” che hanno caratterizzato l’evoluzione della Psichiatria, portandola oggi al punto di definire malati mentali milioni di persone tutto sommato normali: il risultato è una vera e propria inflazione diagnostica anche nell’ambito della salute mentale. Ma qual è stato il peso dell’industria nell’influenzare i criteri diagnostici della Psichiatria? E quanto ha pesato, invece, il bisogno dei cittadini di tenere sotto controllo la propria salute? A detta di Allen Frances gli psichiatri hanno agito in buona fede, seppure incautamente, pensando di avvicinarsi ad una più chiara verità in ambito psichiatrico, ma hanno prestato il fianco all’industria del farmaco. Saggezza e lentezza sono un possibile antidoto perché “ricevere una diagnosi è un momento davvero importante nella vita di una persona, può essere tanto importante quanto acquistare una casa o scegliere una moglie”: bisogna andarci piano, poggiando i percorsi diagnostici sul buon senso. E lo psichiatra termina l’intervista dicendo:
“Una delle cose che stiamo imparando, non solo in Psichiatria ma in quasi tutte le aree della medicina, è che questa rincorsa al definire le malattie ha fatto sì che oggi testiamo e trattiamo le persone molto più di quanto sia per loro salutare. Negli ultimi trent’anni è stata posta molta enfasi sul concetto di medicina preventiva: fare diagnosi precoce e stabilire una terapia prima che la malattia possa causare danni. Ma stiamo imparando adesso che sottoporre a screening, per molte malattie, “seleziona” persone che starebbero meglio se fossero lasciate in pace. Fino a tempi recenti è stato chiesto agli uomini di sottoporsi a screening per il tumore della prostata, oggi sappiamo che questo non si traduce in un allungamento della vita, ma al contrario in terapie chiaramente aggressive e dannose. Vengono eseguiti troppi screening per il tumore del seno; i valori di pressione arteriosa che definiscono la normalità sono stati ulteriormente abbassati; vengono fatti troppi controlli nei pazienti diabetici… Stiamo imparando dagli altri ambiti della medicina che la sovradiagnosi e il sovratrattamento causano più danni che vantaggi. E credo che la Psichiatria stia seguendo questo stesso percorso di sovradiagnosi e sovratrattamento, mentre tutti dovrebbero metterci un po’ di buon senso.