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Anniversario 11 Settembre: Effetti sulla Salute nei 10 anni dall’Attacco alle Torri Gemelle di New York.

Medicina delle Catastrofi

Anniversario 11 Settembre: Effetti sulla Salute nei 10 anni dall’Attacco alle Torri Gemelle di New York.

WTC 9/11 Attack Anniversary: Short-term and medium-term health effects of 9/11 after ten years

Oggi è l’anniversario -10 anni- dell’attentato terroristico dell’ 11 settembre 2001 alla Torri Gemelle (World Trade Center) di New York o come si dice per abbreviare, “WTC 9/11”.

L’attacco terroristico al WTC dell’ 11 settembre 2001 ha ucciso circa 2800 persone, e altre migliaia hanno avuto da allora, nel breve e medio termine, successivi problemi di salute, specie di tipo mentale e respiratorio.

Tante  persone sono state esposte ad una vasta gamma di eventi orrifici: hanno visto gli aerei urtare contro gli edifici, gente che cadeva dagli edifici stessi, e il crollo del World Trade Center (WTC); molti erano intrappolati nella nuvola di polvere, e hanno assistito a persone ferite o decedute. Nelle settimane dopo l’attacco, le aree pubbliche a New York sono state ricoperte con le foto di persone scomparse, molti delle quali erano morte negli attacchi. Inoltre, migliaia di persone sono state temporaneamente o permanentemente incapaci di tornare alle loro case, nei luoghi di lavoro, o a scuola. Infine, il crollo delle torri del WTC ha esposto la popolazione di NY a molte sostanze che hanno dimostrato effetti negativi sulla salute.  Amianto e idrocarburi policiclici aromatici; polveri e detriti di cemento, gesso, vetro e fibre; acciaio e metalli diversi polverizzati in piombo, alluminio, antimonio, cromo, molibdeno, e bario.  Il crollo delle torri,  ha inoltre causato il rilascio nell’ atmosfera di diossine e di altri composti organici clorurati .

Per ricordare quegli avvenimenti, la prestigiosa rivista The Lancet ha pubblicato il  3 settembre un numero monografico per il decennale, interamente dedicato ai danni alla salute causati da quel triste avvenimento.

Tra i tanti articoli forse il più rilevante è Early assessment of cancer outcomes in New York City firefighters after the 9/11 attacks: an observational cohort study, studio condotto tra gli altri autori da David Prezant, medico del New York Fire Department, nel quale si afferma che i pompieri che hanno lavorato a Ground Zero hanno il 19% di chance in piu’ di ammalarsi di cancro rispetto ai loro colleghi, cosa che sembra poter aprire la strada alla possibilita’ che il governo rimborsi coloro che hanno accusato diversi tipi di cancro. Ma i curatori della ricerca invitano alla cautela: la scoperta non significa che tutti coloro che sono stati esposti a Ground Zero abbiano maggiori possibilita’ di contrarre il cancro. Lo studio si inserisce nell’ampio dibattito in corso da un decennio sul legame fra l’aver lavorato a Ground Zero e il rischio di cancro.

Pompieri e poliziotti da anni sostengono che ci siano prove evidenti che l’aver lavorato a Ground Zero abbia favorito il cancro.

Lo studio afferma infatti che esiste un’associazione fra l’esposizione al World Trade Center e il cancro: che ciò e’ ”biologicamente plausibile”. Prezant stesso invita pero’ alla cautela: non bisogna trarre conclusioni affrettate e ritenere che tutti coloro che sono stati esposti a Ground Zero hanno maggiori possibilita’ di contrarre il cancro. ”Non e’ un’epidemia, vi e’ solo un maggiore rischio”, afferma Prezant, sottolineando che lo studio deve servire da invito a maggiori controlli ed a partecipare ai programmi di monitoraggio sui tumori.

Molto interessante anche la Review: Short-term and medium-term health effects of 9/11, nella quale i ricercatori affermano che gli attacchi terroristici dell’ 11 settembre 2001 (9 /11), oltre ad uccidere circa 2800 persone, hanno causato in  altre migliaia successivi problemi di salute nel breve e medio termine, come il Disordine  post-traumatico da stress (PTSD) e molte malattie respiratorie, con una correlazione tra prolungata ed intensa esposizione ed un aumento generale delle disabilità delle malattie stesse. Specialmente i lavoratori che sono arrivati primi al sito delle Torri Gemelle o lavorato a Ground Zero per periodi più lunghi, avevano una maggiore probabilità di sviluppare malattie respiratorie rispetto ad altri gruppi esposti. Tre popolazioni vengono distinte nella review: gruppi di lavoratori direttamente esposti (salvataggio e recupero), quelli indirettamente esposti a New York ( ad esempio, che non erano nei pressi del luogo del WTC l’11 Settembre, o durante le settimane dopo, e che non hanno perso una persona cara o un posto di lavoro come conseguenza degli attacchi), o quelli indirettamente esposti in tutti gli USA e a livello internazionale. La conclusione 10 anni dopo il “9 / 11”, a breve e medio termine, è che i risultati sono generalmente coerenti tra gli studi per la principali condizioni di salute mentale e fisica. Il prevalere di PTSD e di malattie respiratorie, tra cui la perdita irreversibile della funzionalità polmonare, sono stati notevoli, e fortemente associati con l’esposizione diretta all’attacco 9 / 11 negli adulti.

I collegamenti tra l’esposizione diretta agli attacchi e molti altri disturbi, come ad esempio depressione, ansia, abuso di sostanze, GERS (Sindrome da Reflusso Gastroesofageo), e sarcoidosi, hanno bisogno di ulteriori studi.

La ricerca sul disastro del WTC ha fornito inoltre, informazioni su possibili futuri disastri, suggerendo gli interventi che potrebbero ridurre i danni alla salute fisica e mentale nel breve e medio termine, dopo i disastri stessi.

Infine e ve lo segnalo, avendo una passione per le nuove tecnologie  informatiche applicate alla medicina, ho letto con grande interesse JoAnn Difede: emotional engagement with victims of trauma di Niall Boyce, un’intervista ad una psicologa che si è occupata, per gli  stretti legami professionali con il New York Fire Department attraverso il William Randolph Hearst Burn Center del New York-Presbyterian Hospital, di tanti pazienti affetti da PTSD.

Nell’articolo ad un certo punto la Difede si fa una domanda: “Che dire di quelli che non riuscivamo a coinvolgere emotivamente? (e di cui, quindi, non potevano indaginare il livello di stress… n.d.r )

La dr.ssa Di Fede In collaborazione con Hunter Hoffman, della University of Washington, Seattle, ha deciso di vedere se l’uso della realtà virtuale (VR), poteva contribuire a favorire un maggiore “coinvolgimento emotivo” con l’evento traumatico di questi pazienti in un ambiente sicuro.

Una sua paziente di 26 anni, inizialmente riluttante e scettica quando vide al computer dei video sugli attacchi al World Trade Center, “quando ha visto la prima immagine delle torri gemelle al casco VR, che dà la sensazione di essere immersi nel disastro, cominciò a piangere per la prima volta, dicendo che “non aveva mai pensato di essere in grado di rivivere di nuovo quegli eventi.” Difede ha successivamente dimostrato l’efficacia della VR in un articolo pubblicato sul Journal of Clinical Psychiatry nel 2007. Ha lavorato anche per espandere l’uso della VR nella cura dei veterani del conflitto in Iraq e Afghanistan.

Per quanto riguarda il futuro, la Difede vede nella VR interessanti sviluppi nel campo della indagine e cura del PTSD.

Savas

Fonti:

Lancet Vol. 378 Number 9794 Sep 03, 2011

Early assessment of cancer outcomes in New York City firefighters after the 9/11 attacks: an observational cohort study

Rachel Zeig-Owens, Mayris P Webber, Charles B Hall, Theresa Schwartz, Nadia Jaber, Jessica Weakley, Thomas E Rohan, Hillel W Cohen, Olga Derman, Thomas K Aldrich, Kerry Kelly, David J Prezant

Review: Short-term and medium-term health effects of 9/11

Sharon E Perlman, Stephen Friedman, Sandro Galea, Hemanth P Nair, Monika Erös-Sarnyai, Steven D Stellman, Jeffrey Hon, Carolyn M Greene

JoAnn Difede: emotional engagement with victims of trauma

Niall Boyce

Delta Del Niger: Non Ignorare Più I Diritti Umani ! Firma L’Appello di Amnesty

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Non Ignorare Più I Diritti Umani ! Firma L’Appello di Amnesty Intenational

La mia terra, le mie zone di pesca, le mie canoe, i miei orti e i fruttetisono andati distrutti. Non mi è rimasto più niente“. (Barizaa Dooh, abitante del villaggio di Goi, nel Delta del Niger, che ha perso i suoi mezzi di sostentamento a causa di una fuoriuscita di petrolio nel 2004)

la foto © Kadir van Lohuizen

Nel 2008, In Nigeria a Bodo Creek, l’incendio di una conduttura dell’oleodotto causò un’enorme fuoriuscita di petrolio, che si è versato nella palude e ha ricoperto la baia di uno spesso strato, uccidendo i pesci. La fuoriuscita è continuata per oltre due mesi e la Shell, responsabile della conduttura, non ha interrotto il riversamento né contenuto la fuoriuscita in tempi adeguati.

A tre anni di distanza,  la Shell , durante un processo svoltosi nel Regno Unito,ha finalmente riconosciuto la sua responsabilità e ammesso che un danno ai dispositivi aveva causato il disastro. Ma non c’è stata ancora alcuna bonifica e le vittime non hanno avuto giustizia. In questa regione, ricca di petrolio, attraversata da chilometri di condutture delle multinazionali, punteggiata da pozzi e stazioni petrolifere, le persone, soprattutto quelle povere, bevono, cucinano e si lavano con acqua inquinata. Mangiano pesce contaminato da petrolio, quando sono abbastanza fortunate da trovarlo, e se avevano della terra da coltivare o degli stagni in cui pescare, questi sono ormai inutilizzabili. L’inquinamento e i danni ambientali causati dall’industria petrolifera mettono a rischio la salute delle persone e minacciano il loro accesso al cibo e all’acqua pulitaLe aziende, che non sono vincolate da leggi forti ed efficaci, non prevengono i danni ambientali né rimediano ai loro errori, bonificando le aree colpite.

Il governo della Nigeria e le compagnie petrolifere, come Shell, Eni e Total, che da anni fanno profitti grazie all’estrazione di petrolio nella regione, non possono più ignorare  i diritti umani. Il Delta del Niger deve essere bonificato e le aziende devono essere chiamate a rispondere dell’impatto devastante delle loro attività economiche sui diritti umani e sulla vita di centinaia di migliaia di persone. Ma, a quasi tre anni dalle le pesanti fuoriuscite di petrolio che devastarono Bodo Creek, nel Delta del Niger, ancora non c’è stata bonifica e i residenti non hanno ottenuto giustizia. Una ricerca di Amnesty International ha messo in luce le conseguenti violazioni dei diritti umani, compresa la distruzione di mezzi di sostentamento, come ha raccontato un pescatore i cui stagni per la pesca sono stati completamente contaminati dal petrolio: Dal 2008 fino ad oggi non ho potuto fare niente. Di solito andavo sulla riva del fiume a pescare ma ora ritorno a casa senza niente“. Il petrolio ha distrutto la sua vita.

Da decenni, l’inquinamento causato dalle aziende petrolifere è uno dei maggiori problemi nel Delta del Niger. Fuoriuscite, sversamento di rifiuti e gas flaring hanno danneggiato il suolo, l’acqua e l’aria, hanno messo a rischio  la vita delle persone e il loro diritto alla salute, al cibo e all’acqua pulita, hanno distrutto i loro mezzi di sostentamento, come la pesca e l’agricoltura.

L’impatto devastante dell’inquinamento sul territorio dell’Ogoniland, nella regione del Delta del Niger, è stato denunciato anche da un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) pubblicato ad agosto 2011 e basato su due anni di approfondite ricerche scientifiche.

Le fuoriuscite di petrolio sono la conseguenza di tubature corrose, scarsa manutenzione e perdite, ma anche da errori umani, atti vandalici e furti.

Nonostante gli effetti sulla vita di centinaia di migliaia di persone, il governo nigeriano, a sua volta partner dell’industria petrolifera con una propria azienda, non ha attuato una normativa forte ed efficace per regolare le attività estrattive. Le aziende petrolifere continuano quindi a sfruttare il debole sistema normativo, mettendo in atto cattive pratiche, senza prevenire i danni ambientali e senza rimediare agli errori.

Amnesty International vuole porre fine a catastrofi come quella di Bodo. Per questo la sua campagna sui diritti umani nel Delta del Niger, lanciata nel 2009 passa ora a una nuova fase. Dobbiamo chiedere alle aziende di bonificare le aree inquinate e di risarcire chi è stato colpito dalla loro negligenza. Il governo nigeriano deve rafforzare le sue leggi per fare in modo che le aziende rispondano del loro operato e che le vittime ricevano giustizia. Anche i governi dei paesi dove hanno sede le multinazionali che operano nel Delta del Niger, come Olanda, Regno Unito, Francia e Italia, devono regolamentare le attività delle loro aziende in sede e all’estero e sostenere la necessità di bonificare.

La campagna per i diritti umani nel Delta del Niger ha già ottenuto dei successi. Shell, Eni e Total hanno reso note informazioni sull’impatto ambientale e la Shell ha commissionato una ricerca sull’impatto delle sue attività nel Delta del Niger (Niger Delta Environmental Survey). A gennaio 2011, il parlamento Olandese ha tenuto un’udienza pubblica sull’impatto dell’industria petrolifera nel Delta del Niger.

Ma occorre aumentare la pressione. E il primo obiettivo è ottenere che il presidente della Nigeria supporti pubblicamente le operazioni di bonifica e rafforzi la regolamentazione dell’industria petrolifera.

Aiutaci a raggiungerlo…

Firma l’appello !

Rivolto al Presidente della Repubblica Federale della Nigeria Dr. Goodluck Ebele Jonathan

Fonte:

Amnesty International

Nucleare e Salute: Fukushima: 23.500 tra vittime e dispersi. Video

Nucleare e Salute

Fukushima: 23.500 tra vittime e dispersi.

Video

23.500 tra vittime e dispersi. È questo il numero più impressionante del post-Fukushima, quello che salta subito all’occhio a tre mesi di distanza dal 5° terremoto – per intensità – della storia umana. Pochi altri dati rendono l’idea dell’apocalisse che si è abbattuta sul Giappone, paese che sembra entrato in guerra senza volerlo e oggi, pur volendolo, non riesce più a trovare la pace. Se però da un lato la ricostruzione prosegue, tra il disinteresse tipico dei media occidentali che hanno già spento i riflettori e la volontà di occultare le prove manifestata dalla Tepco, d’altra parte anche la Storia fa il suo corso: la radioattività è sempre alta – anzi, abnorme – e i giapponesi, abbandonato il riserbo, cominciano a far sentire tutta la propria rabbia.

L’altro ieri sono state più di 150 le manifestazioni in memoria delle vittime organizzate in tutto il paese. Alle 14,46 ora locale – la stessa in cui si è verificato il sisma l’11 marzo – migliaia di persone hanno osservato un minuto di silenzio. Poi, a seconda delle città, si sono formati cortei di protesta, come quello che ha portato 10.000 persone circa sotto la sede della Tepco, tra slogan urlati, dita puntate e cartelloni abbastanza eloquenti. Da parte sua l’azienda responsabile di aver aggravato una situazione già di per sé gravissima continua a fare il suo lavoro, dimostrando poca trasparenza.

Solo oggi i dati sull’acqua raccolti dai tecnici sono stati resi pubblici. 240 volte il limite legale di sicurezza è dunque il valore dello stronzio-90 rilevato nella zona di mare in prossimità del reattore numero 3 in data 16 maggio. Sempre nello stesso giorno, davanti al reattore numero 2, l’acqua dell’Oceano Pacifico conteneva 170 volte la quantità di stronzio-90 fissata per legge.

Fonti: youtube Channels Euronews

News Video: Giappone: Radioattività In Netto Aumento Al Largo Di Fukushima

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Energia Nucleare e Salute

Radioattività In Netto Aumento Al Largo Di Fukushima

La radioattività in mare al largo di Fukushima è in netto aumento. Campioni raccolti nel Pacifico, a una quindicina di chilometri dall’impianto di Daiichi contengono livelli 600 volte superiori a quelli rilevati fino ad ora, ha fatto sapere la Tepco.

Un video diffuso ieri mostra i robot all’opera al reattore numero 1 della centrale nucleare. La Tepco, il gestore, ha detto che per metterla sotto controllo potrebbe volerci tutto il resto dell’anno.

Fonte: Euronews

News: Video: A Fukushima Non Si Riesce a Chiudere la Falla del Reattore.

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Video: A Fukushima Non Si Riesce a Chiudere la Falla del Reattore.

Non sono riusciti con il cemento, e ora gli ingegneri cercano di sigillare la crepa al reattore numero 2 di Fukushima Daiichi in altri modi. I tecnici nipponici sperano di riuscire a chiudere la falla di 20 centimetri dalla quale viene riversata acqua radioattiva in mare con un polimero in grado di assorbire enormi quantità di acqua. Ci si prova anche aggiungendo segatura e carta.

Fonte: EuroNews